Nella città palestra delle Br si presenta il nuovo terrore

L'agguato riporta agli anni Settanta, quando sotto la Lanterna caddero tanti "nemici del proletariato". E ora l'orologio sembra tornato indietro

L’attentato a Roberto Adi­nolf­i sollecita ricordi an­gosciosi e ripropone in uno scenario politico e umano che dagli Anni di piombo è com­pletamente cambiato, vecchie pa­ure. La sensazione d’una minac­cia sempre incombente su perso­naggi di null’altro colpevoli che di simboleggiare, agli occhi di fanati­ci deliranti, i mali del capitalismo, della reazione, dello sfruttamen­to e di chissà cos’altro. La gambiz­zazione è avvenuta a Genova, con­tro un dirigente dell’Ansaldo, e an­che questo ri­sveglia nella mente cupi fan­tasmi del passa­to, del tempo in cui Vincen­zo Casabona, Carlo Castella­no e Giuseppe Bonzani, tutti con posti diri­genziali all’An­saldo, furono vittime di ag­guati. Ecco per­ché un’eco di quel terrore a Genova fa più paura che altro­ve.

Le azioni di allora vennero rivendicate dal­le Brigate Ros­se. Quella fa­mosa e famige­rata organizza­zione - che po­tè contare su simpatie e in­dulgenze sia in ambienti salot­tieri sia nelle fabbriche - ap­partiene a un’epoca lonta­na e, speriamo, irripetibile. Ma la tecnica pare la stessa degli anni settanta, la preparazio­ne del colpo è stata accurata, come da copio­ne di queste recite terroristiche. Non è il caso di gridare prematura­mente al ritorno della P 38 e di quanti la impugnarono per ferire e per uccidere. Ma alcune analo­gie sono inquietanti, e si può sup­po­rre che lo siano altrettanto le af­finità ideologiche.

Tra le piste d’indagine sùbito imboccate c’è quella anarchica. Non si sa nulla di certo, e non si hanno indagati. Il precedente di Pietro Valpreda induce anzi alla massima cautela.Quando fu rico­nosciuta l’innocenza dell’ex balle­rino si gridò allo scandalo benché il circolo XXII marzo da lui fonda­to avesse per motto «bombe, san­gue ed anarchia ».Questo per riba­dire che l’ipotesi anarchica va trat­tata con estrema prudenza.

Ma il sottofondo eversivo del fat­to di sangue è evidente. Genova, città dell’Iri, roccaforte italiana dell’industria pesante ora in decli­no- Guido Rossa, il sindacalista as­sassinato dalle Br nel 1979 era al­l’Italsider - può sembrare anche oggi un buon terreno di culturaper conati d’insurrezione,di guer­riglia, o più semplicemente di vio­lenza politica. L’essere Genova medaglia d’oro della Resistenza ha indotto e induce certa sinistra a ritenerla suo esclusivo dominio: come si vide nel 1960. La celebra­zione d’un congresso del Msi ­non il primo ma il quarto- scatenò una vera rivolta di piazza, con ri­verberi drammatici in tutta Italia. Inutile chiedersi cosa si proponga­no i cecchini del terrorismo in un Paese dove è diventato fuori mo­da parlare di proletariato perché il proletariato, come veniva storica­mente inteso, non c’è più. La loro criminalità è insensata ma non per questo meno pericolosa, anzi. Come segnale di inquietudine sociale- e non manca chi evoca in proposito una voluta strategia del­la tensione ad opera di grandi vec­chi o di grandi poteri - quest’ulti­mo episodio va preso molto sul se­rio. Non soltanto per la sua intrin­seca gravità, ma perché cade in un momento di rabbia e di dispera­zione nel quale, anche da persone ritenute ragionevoli e miti, vengo­no espressi propositi minacciosi. Un momento nel quale corre il sangue degli imprenditori suicidi perché assillati dalle tasse e dai de­biti. Naturalmente corre una di­stanza immensa - ambientale umana e culturale- tra chi si toglie la vita per i debiti e chi spara a un innocente per l’unico motivo che impersona un’entità odiata e de­monizzata. Non vorrei, con le mie osservazioni, generare equivoci. Aggiungo che è difficile accredita­re­ai gambizzatori un disegno ide­ologico e politico. Ma se davvero si atteggiano a successori delle Bri­gate Rosse - capaci d’inondare le redazioni con i loro comunicati in­far­citi d’ideologia raccattata in tut­te le botteghe rivoluzionarie - for­se hanno un barlume di disegno politico.Forse si augurano-s’illu­dono - di poter saldare la loro cri­minalità guerrigliera al profondo malessere sociale che attanaglia l’Italia.

Si tratta, se esistono, di velleità grottesche, prive di qualsiasi sboc­co.

Non dobbiamo nemmeno lon­tan­amente temerne la realizzazio­ne. Dobbiamo soltanto temere che altri esaltati vogliano imitare i terroristi di oggi e quelli di ieri. 

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