Il nervo scoperto

Romano Prodi e Massimo D'Alema non hanno perso tempo nel replicare a Silvio Berlusconi. Ma non hanno trovato argomenti forti, hanno solo negato - «Non siamo inaffidabili»; «Non siamo antiamericani» - e si sono trincerati dietro il vecchio refrain della «polemica ideologica» che tende a dividere il Paese. Intanto, è già significativo il fatto che abbiano sentito il bisogno di rispondere subito. Hanno capito che la politica estera dell'Unione è un nervo scoperto proprio sul punto chiave del rapporto con gli Stati Uniti. Non è passata una sola settimana senza un distinguo, una presa di distanza, una critica, senza giudizi liquidatori.
Ancora ieri mattina, il ministro degli Esteri aveva sepolto il «piano Bush» sull'Irak. Era l'ultima sequenza di uno sbarramento intenso, segnato dalla contestazione dell'intervento etiopico a sostegno del governo di transizione somalo e del raid statunitense contro Al Qaida e prima ancora da un eccesso di toni sull'esecuzione di Saddam Hussein. Inoltre, sempre ieri, a proposito di affidabilità, i giornali riferivano un commento dello stesso D'Alema sulla richiesta di Washington a proposito della nuova base di Vicenza, in cui la questione, che riguarda direttamente una scelta politica del governo, veniva invece declassata a un problema dipendente dagli umori della popolazione locale. Come il no ad un inceneritore.
Per carità, si può sostenere tutto, si può anche accettare l'idea che la distinzione costante da Bush rientri nella normalità di un'alleanza. Ma non ricordo, da quando Romano Prodi è tornato a Palazzo Chigi, un solo atto o una sola parola, con l'eccezione del famoso «bye bye, Condy», che siano suonati come espressione di una volontà di rafforzare i rapporti tra le due sponde dell'Atlantico. Sull'Irak, sull'Afghanistan, sul nucleare iraniano, su Israele, sulla lotta al terrorismo lo sforzo è sempre stato, al contrario, di esibire una formula priva di sostanza, come è il «multilateralismo», e di contrapporla all'«unilateralismo» che è la versione più moderna e più rispettabile del concetto di «imperialismo», a cui invece ricorrono con disinvoltura i rozzi Ahmadinejad e Chavez. E poi è vero che la visione del ruolo dell'Europa è sempre più quella del tardo gollista Jacques Chirac, ovvero di una «terza forza», sempre meno vincolata all'idea di Occidente, sempre più illusa di guadagnare potere estraniandosi dal conflitto con l'insorgenza fondamentalista e sempre più convinta che la parola «dialogo», anche con le «corti islamiche», per non dire ovviamente di Hamas e di Hezbollah, sia risolutiva di per sé. Come la parola Onu, che è il paravento di ogni disastro. Cosa c'entra la «dignità nazionale»?
Ricordandolo, ieri Berlusconi non ha affatto «diviso il Paese». Semmai sono Prodi e D'Alema ad essersi allontanati dal Paese. E ha avvertito che ormai è stato superato un limite, che è in atto una vera e propria «controriforma» rispetto alla visione fondata sulla saldezza dell'alleanza con l'America e su un ruolo internazionale che non può prescindere dal legame tra la libertà e la pace. E ha evocato un problema: il ritorno dell'ideologia dell'antiamericanismo. Non ci sono solo i condizionamenti dell'estrema sinistra: sono direttamente Prodi e D'Alema a esprimere questo cambiamento, con schemi e argomenti che oltretutto non hanno nulla a che fare con il dibattito aperto negli Stati Uniti.

È la prima volta che accade nella storia della Repubblica. Non era capitato nemmeno tra il 1996 e il 2001, nel mondo precedente all'11 settembre. La vecchia ideologia ha ora impregnato Palazzo Chigi e la Farnesina, con l'effetto di spostarli a Oriente.

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