New York piange Brooke Astor, l’ultima aristocratica

da Milano

Con Brooke Astor, morta lunedì all’età di 105 anni, scompare la donna più amata di sempre da tutta New York. Anche da chi non sapeva di doverle qualcosa. Perché nessuno ha mai dato tanto a questa città: donazioni per 200 milioni di dollari in 50 anni, per sostenere la cultura, le scuole e per beneficenza.
Brooke Russell Astor, tre volte moglie, una volta madre, due volte vedova, era nata a Portsmouth, New Hampshire, il 30 marzo 1902. Il padre John Henry, ufficiale dei Marines, era figlio di un ammiraglio della marina Usa.
Per amore si sposa a 17 anni con un uomo, John Dryden Kuser, che beve, la maltratta e la tradisce. Sono «gli anni più brutti della mia vita», dirà poi Brooke. Che a 22 anni mette al mondo Anthony, suo unico figlio, prima del divorzio del 1930. Le seconde nozze arrivano nel ’32, con il finanziere Charles Henry Marshall, che aveva due figli e che donò anche ad Anthony il suo cognome. Ma è dopo la morte di Marshall, nel ’52, che Brooke, quarantenne, sposa uno degli uomini più ricchi d’America, Vincent Astor, 11 anni più anziano di lei.
Vincent era l’erede del leggendario John Jacob Astor, figlio di un macellaio prussiano del Baden-Württemberg, sbarcato a New York nel 1784 e diventato il primo milionario americano grazie al commercio delle pelli prima, alle iniziative immobilari poi. Un dna da filantopo quello di J.J. Astor, che sostiene artisti come Edgar Alan Poe e finanzia la nascita della New York Public Library. E che nella Grande Mela ha lasciato il segno in Astor Place (cuore del mondo off-Broadway), piuttosto che nel grazioso quartiere Astoria, nel Queens. Il dna si tramanda e quando Vincent muore, nel ’59, passa alla vedova Brooke. Che «in» Astor era presto divenuta «la» gran donna dei salotti di Manhattan, la più celebre socialite - come dicono lì - degli anni e degli ambienti raccontati tanto da Gore Vidal quanto da James Ellroy. Inarrivabile persino per Jackie Kennedy.
Ma quei 200 milioni elargiti non sono mai andati giù ad Anthony che l’anno scorso (ormai 82enne) è stato citato in tribunale da suo figlio Philip Marshall con l’accusa di aver segregato Brooke in un appartamento di Park Avenue - privata di tutto e in condizioni igieniche vergognose - per il solo scopo di preservare per sé quel che resta del patrimonio Astor (comunque stimato in ragguardevoli 45 milioni).
Brooke, dopo il centesimo compleanno che per lei è stato organizzato nel 2002 da David Rockefeller, si era lentamente spenta, annebbiata dall’alzheimer. La denunica del nipote ha fatto scandalo a New York, mietendo consensi unanimi.

E il giudice ha poi dato torto ad Anthony, togliendoli la tutela della madre e condannadolo a provvedere a sue spese al mantenimento di Brooke nella tenuta di Holly Hill, fuori città. Fino a lunedì scorso, quando si è chiusa un’altra pagina dell’epopea americana.

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