A San Giovanni Medua, località balneare a un'ora di automobile da Tirana, è ancora piena stagione estiva. Gruppi di giovani affollano le spiagge e, alle fermate degli autobus, si attende il passaggio delle corriere.
Shëngjin, questo è il nome in albanese, è un luogo di villeggiatura privilegiato dai kosovari e, secondo la tradizione, qui sbarcò Giulio Cesare nel corso della guerra contro Pompeo. Oltre alla sua lunga spiaggia, Shëngjin è nota per il porto cresciuto notevolmente negli ultimi anni insieme al boom dell'economia albanese. È qui che sorgerà il primo dei due centri per l'accoglienza dei migranti realizzati dall'Italia nell'ambito dell'accordo con il governo albanese che durerà cinque anni (poi rinnovabili) accogliendo fino a 3mila persone. L'ingresso del porto è sorvegliato e non è permesso entrare, veniamo così attratti da un nuovo locale che ha aperto di fronte al porto: la Trattoria Meloni. Si tratta di un ristorante italiano dedicato a Giorgia Meloni in cui foto e quadri raffiguranti la premier ricoprono tutte le pareti del locale.
Parliamo con Gjergj, uno dei camerieri, e ci dice: «Aspettiamo la Meloni a pranzo quando verrà a visitare il centro migranti» mentre Marku, un cliente, ci racconta la sua opinione sul nuovo centro migranti: «Per noi non è un problema, l'importante non si creino situazioni difficili di ordine pubblico». Chiediamo come poterlo vedere meglio e ci indica una stradina che si inerpica su una collina, da qui si osserva in modo chiaro il porto e la nuova struttura che fungerà da hotspot e centro di primo approdo come avviene oggi a Lampedusa. L'hotspot è pronto e si intravedono le telecamere a sorvegliare la recinzione e i prefabbricati, i migranti che arrivano qui vengono poi trasferiti a Gjader che si trova a circa venti chilometri dalla costa nell'entroterra. È qui che sorge il vero e proprio centro per le procedure accelerate in un'ex base dell'Aeronautica albanese di circa 77mila metri quadrati costituita da tre diverse strutture. La prima ospiterà fino a 880 migranti provenienti da «Paesi sicuri» a cui verranno applicate le cosiddette «procedure accelerate di frontiera» ed entro ventotto giorni bisognerà determinare se hanno diritto o meno alla protezione, oppure se dovranno essere rimpatriati. La seconda struttura sarà un centro da 144 posti per il rimpatrio in cui saranno trattenuti i migranti che non hanno diritto alla protezione prima dell'espulsione, infine una terza struttura che fungerà da mini-penitenziario da 20 posti per chi farà reati all'interno del centro.
A Gjader i lavori per la realizzazione del centro procedono in modo spedito, ad oggi la giurisdizione del terreno è ancora albanese e diventerà italiana quando i lavori termineranno, anche se è già presente la polizia italiana e i Carabinieri per garantire la sicurezza. Il centro per i migranti sorge nel mezzo di un'area collinare nella campagna albanese circondato da un'imponente barriera di metallo realizzata in poche settimane dietro cui si trovano i prefabbricati destinati a ospitare i migranti. La percezione che emerge visitando l'area intorno alla struttura è che i lavori siano in fase conclusiva e, già a ottobre, il centro potrà entrare in funzione. Qui arriveranno solo i «soggetti non fragili» che, nel caso non siano ritenuti idonei all'accoglienza, verranno rimpatriati. Si tratta di una nuova procedura realizzata proprio ieri nei confronti di due tunisini sbarcati nei giorni scorsi e ospitati nel Centro di trattenimento di Empedocle: «rimpatriati grazie alle procedure accelerate alle frontiere. Un efficace strumento di contrasto all'immigrazione irregolare inserito, anche grazie all'Italia, nel nuovo Patto migrazione e asilo» come ricorda il Ministro dell'Interno Matteo Piantedosi.
La novità del centro per i migranti in Albania non appena entrerà in funzione è che un
irregolare che non ha diritto all'asilo potrà essere espulso senza nemmeno arrivare sul suolo italiano con una straordinaria funzione deterrente rappresentando così una rivoluzione sulle politiche migratorie italiane ed europee.
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