Noi comunisti sconfitti da noi stessi

Pietro Ingrao (classe 1915) e Rossana Rossanda (1924) furono e tuttora sono due nobili guerrieri comunisti che segnarono i punti alti e solenni del dibattito dentro e fuori il Pci. Diversi per profondità e stile di cultura (uno è di Terra di Lavoro, l’altra di origine uscocca, cioè di origine balcanica, è infatti nata a Pola) furono i campioni di una tenzone personale e di massa delle varie componenti comuniste negli anni Sessanta-Settanta. Due loro libri hanno di recente riaperto un filone e un confronto eccellente storico-politico. Quello di Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso, uscito all’inizio di novembre 2005 e quello di Pietro Ingrao, Volevo la luna, uscito in questo mese di settembre.
La natura eversiva è assai simile perché non riguarda solo i concetti di partito, ma la vita intera, il pensiero e l’azione. Essi legando lo spirito europeo con i concetti ispiratori del ’68 francese, dell’agitazionismo tedesco, dell’insofferenza epocale e generazionale nordamericana, a partire dai campus di Berkeley e Palo Alto, stabilirono un fronte di ampia valenza storico-culturale: come incendiare e rovesciare l’attuale società.
Non si tratta di una insurrezione settaria o di un faziosismo di partito, ma di un vero e proprio tentativo di massa destinato a segnare tracce profonde, a partire dall’orientamento universitario giovanile. Non si tratta di un sobbalzo tra militanti, ma di una vera e propria svolta culturale e storica che mira assai più in alto di un grappolo di convegni e di pronunciamenti più o meno ispirati ma non estranei alle soluzioni violente: la differenza fu tra linguaggio parlato e lotta armata. Anzi, noi non fummo mai per la lotta armata. Questa fu la nostra vera coesione comunista.
La sinistra ingraiana del movimento giovanile comunista fu la vera protagonista nella svolta libertaria ma non violenta. I capi ingraiani per la loro carica positiva, capacità di equilibrio e senso della misura costituirono una rinascita in nuce di un nuovo modo di gestire l’intero fronte della lotta. Tutti i movimenti nelle loro varie, anzi diverse differenziazioni furono a un passo dalla violenza armata, cioè di un cambiamento di gestione del modo stesso di fare politica.
Azzardo una ipotesi avanzata. Tutto il movimento mancò di un punto fondamentale: una coesione organizzativa che fosse in grado di superare le divisioni fra una inattuale insorgenza militare e una «democrazia progressiva».
Noi ingraiani «arrivammo disarmati all’appuntamento del ’68 e non fummo in grado di concretizzare una società di liberi e uguali» fondamento di un autentico blocco rivoluzionario laico e cattolico.

Non erano le idee che ci mancavano, ma i modi propri per realizzarle in modo concreto. Fummo noi comunisti a sconfiggere noi stessi perché non fummo in grado di superare le divisioni ideologiche e a non capire che non si trattava di riformare i partiti ma l’uomo.

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