Noleggio «privato», il charter in rivolta

Si parla molto di charter in questo periodo. Non solo per la crisi generale in Italia – gli operatori parlano di un calo di introiti sul 35% - ma anche per quanto potrebbe accadere con l’entrata in vigore dell’emendamento del senatore Pd, Raffaele Ranucci (decreto liberalizzazioni approvato il 28 febbraio in Senato), che abilita gli armatori privati al cosiddetto «noleggio occasionale». In altre parole: affitto la barca come una casa per le vacanze. «Un sistema che non richiede la costituzione di società né burocrazia – ha spiegato il senatore – e sostanzialmente permette ai diportisti di recuperare parte delle spese di gestione. Non c’è concorrenza con gli operatori specializzati».
Ovvio che la decisione non abbia fatto piacere a quanti si occupano di charter. Anzi, ci vedono un altro problema, nel momento peggiore. Comunque sia, si parla di un settore fondamentale per il diporto che è stato analizzato da un recente studio di Nauticzone (un gruppo di sviluppo di Area Science Park Innovation Factory) che ha aggregato e incrociato i dati di varie fonti ufficiali così da disegnare uno scenario utile per la promozione del comparto.
Secondo Ucina-Confindustria Nautica, il numero di aziende ufficialmente specializzate in charter sono 570, concentrate nel Lazio (20%), Liguria, Toscana, Sardegna, Puglia e Sicilia, con numeri inferiori in Adriatico anche a causa della concorrenza croata. Frammentarietà, mancanza di una rete tra gli operatori, carenza di infrastrutture ed eccesso di burocrazia sono le principali criticità.
Da un’indagine che l’Osservatorio Nautico Nazionale ha condotto tra gli operatori, i dati principali emersi sono i seguenti: più della metà delle aziende ha un fatturato inferiore a 50mila euro; il numero di addetti è circa 4,4 persone, di cui 1,4 stagionali; soltanto tre aziende su dieci dichiarano di avere un impiegato amministrativo. Significativo il fatto che ogni società utilizza per il charter 3,2 imbarcazioni e il 44% di queste sono ricevute in gestione temporanea.
Si evince da ciò che ogni azienda possiede nemmeno due unità, a conferma della polverizzazione del settore. Emerge dunque che un sostegno al comparto del charter potrebbe avere un effetto-traino su tutta l’economia che gira attorno alla nautica, oltre a ricadute positive sul turismo, in considerazione del fatto che un’imbarcazione impiegata per il charter viene mediamente utilizzata molto di più durante l’anno rispetto alla barca di un privato. Da qui ricadute molto positive su tutti i servizi e attività commerciali che gravitano attorno ai marina: i nostri, mai come adesso ne hanno bisogno in quanto ci sono Paesi - come Croazia e Turchia – che offrono tariffe molto più basse e altri, come la Francia, assolutamente competitive. Se aggiungiamo che hanno ricevuto il cadeau della tassa di soggiorno nei primi mesi dell’anno (poi diventata tassa di possesso), ben si capisce perché bisogna lavorare attivamente sul charter.


«Senza dimenticare che dallo studio condotto emergono possibili risvolti positivi in termini occupazionali – spiega Marco Vascotto, analista di Nauticzone - tre quarti delle imbarcazioni charterizzate sono a vela e quindi lo sviluppo del settore potrebbe rappresentare un volano per la ripresa del mercato interno, duramente colpito dalla crisi».

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