"Non è la fine del mondo. Il caldo offre opportunità"

L'ambientalista "scettico" non nega il riscaldamento climatico. Ma non tutto il male viene per nuocere

"Non è la fine del mondo. Il caldo offre opportunità"

Il danese Bjorn Lomborg è diventato celebre come «l'ambientalista scettico» (dal titolo di un suo libro, in Italia edito nel 2003 da Mondadori). È fondatore e presidente del think tank Copenhagen Consensus Center, che cerca soluzioni a basso costo per le grandi sfide globali, ricercatore presso la Hoover Institution dell'Università di Stanford e il Guardian, che certamente non propende verso lo scetticismo ambientalista, lo ha definito «una delle 50 persone che potrebbero salvare il pianeta». A modo suo però, come propone nel suo nuovo saggio, Falso allarme (Fazi, pagg. 412, euro 20). Polemico nel titolo e nel sottotitolo: «Perché il catastrofismo climatico ci rende più poveri e non aiuta il pianeta». Ne parla mentre è in Italia, a Roma, sotto un diluvio in un inedito giugno al fresco.

Bjorn Lomborg, sarebbe facile sostenere che chi parla di riscaldamento globale sia fuori strada?

«Non sono un meteorologo. Però sì, questo dimostra quanto sia facile costruire una storia a partire da qualsiasi cosa accada relativamente al meteo. E qualcosa, per forza, è anche giusto».

Invece?

«Il riscaldamento è reale, le temperature notturne sono più elevate, le ondate di calore sono in aumento così come le piogge torrenziali. Ma i rischi sono ampiamente esagerati: quella diffusa è una favola».

Che cosa è una favola?

«Il cambiamento climatico comporta che ci saranno dei problemi, ma anche delle soluzioni; ci saranno degli svantaggi ma anche dei vantaggi. In ogni caso, non sarà la fine del mondo. Per esempio, per le ondate di calore muoiono in media quattromila persone l'anno, in Italia».

Non sono poche.

«Ma per il freddo ne muoiono 24mila: sei volte tanto. E, secondo le stime globali, a causa del freddo si muore nove volte di più che a causa del caldo. Quindi dobbiamo cercare nuovi modi di contrastare le ondate di calore, ma non dobbiamo dimenticarci che molte più persone muoiono per colpa del freddo; e questo perché molti fanno ancora fatica a pagare il riscaldamento. E ne faranno ancora di più, se l'energia diventa più costosa a causa delle tasse».

Perciò?

«Non tutto quello che succede è colpa del cambiamento climatico».

Nel libro parla di una «cultura del terrore» sul clima.

«Ogni organizzazione che conduca una campagna a favore di una causa tende a esagerare: durante la Guerra fredda ci chiedevano soldi per combattere l'Urss, affermando che l'invasione fosse imminente; gli insegnanti con le scuole, i dottori con gli ospedali, tutti sostengono ci siano problemi enormi... E così gli ambientalisti. Il problema è che ormai siano tutti convinti che questa sia la grande questione, e che politici e media li seguano».

Con quali conseguenze?

«Due effetti negativi. Primo: siamo più depressi del necessario. In un sondaggio americano, il 60 per cento della gente è risultata convinta che il cambiamento climatico probabilmente porterà alla fine dell'umanità. Ma è falso. La scienza non ci dice questo: ci dice che è un problema, non che sia la fine del mondo».

Il secondo?

«Affrontiamo il cambiamento climatico in modo pessimo. Se davvero fossimo convinti di fare la fine dei dinosauri dovremmo fermare tutto e risolvere subito il problema; ma non è così, perché esso è solo uno dei tanti problemi del XXI secolo».

In che senso lo affrontiamo in modo pessimo?

«Il panico ci spinge a spendere moltissimi soldi: circa due triliardi di dollari l'anno, ovvero duemila miliardi di dollari, quasi per niente. Per tecnologie che non funzionano».

In che cosa li spendiamo?

«Principalmente per le infrastrutture: pannelli solari, turbine eoliche, sistemi per auto elettriche, cambiamenti nelle linee di trasmissione e nelle batterie e per tutte quelle cose collegate alla transizione energetica. Ma questa è una stima al ribasso del costo di queste politiche energetiche che, complessivamente, hanno un prezzo molto più alto».

Perché?

«Perché rendono l'energia più costosa; e questo non colpisce solo il singolo utilizzatore ma fa sì che, alla fine, produciamo meno e a un costo più elevato. Quindi, sul lungo periodo, i costi delle emissioni zero saranno molto più elevati, in termini di rallentamento della crescita globale: si stima un 5-10 per cento di perdita del Prodotto lordo globale».

Chi spende questi soldi?

«I Paesi ricchi. Ma la maggior parte delle emissioni proviene da Cina, India e Africa. E il punto è che non le coinvolgeremo mai, sulla base del panico: perché questi Paesi hanno molti altri problemi da affrontare, come la fame, il livello di istruzione, la lotta alle malattie e la disoccupazione. Le nostre cattive decisioni non possono convincere il resto del mondo».

Quali soluzioni propone?

«Sappiamo che, nel momento in cui riduciamo la povertà, siamo in grado di affrontare meglio ogni problema, incluso il cambiamento climatico: maggiore è il benessere di un Paese, meno esso è vulnerabile di fronte a inondazioni, tempeste e siccità. Questo è avvenuto in tutto il mondo, grazie alle tecnologie e alla nostra capacità di adattamento. Ma dobbiamo concentrarci sul rendere più ricchi molti più Paesi».

E poi?

«Dobbiamo comunque ridurre le emissioni di carbonio a livello globale. E non possiamo limitarci ad aumentare le tasse: servono soluzioni verdi innovative e, quindi, dobbiamo spendere soldi nella ricerca, per riuscire a scoprirle. E, quando le avremo trovate, allora sì che potremo convincere anche il resto del mondo a convertirsi».

Che tipo di innovazioni?

«Ne bastano due o tre, assai più economiche di quelle attuali. Molti credono che il solare e l'eolico siano la soluzione, ma non è così: sono una piccola parte della soluzione. Dobbiamo concentrarci sul nucleare di quarta generazione, per esempio, che oggi è molto oneroso ma, grazie agli investimenti, potrebbe diventare a basso costo. Craig Venter ha studiato delle alghe marine da cui si può ricavare petrolio senza emissioni di anidride carbonica: potremmo coltivarle nell'oceano. Il punto è che dobbiamo indagare queste possibilità, investendo in ricerca e sviluppo; mentre ciò che stiamo facendo è troppo costoso e non funziona. Dobbiamo trovare una via di mezzo intelligente: anziché spendere triliardi per niente, spendere miliardi e fare molto meglio».

In tutto questo, il nostro stile di vita è così importante?

«Quello che facciamo, le piccole cose, sono piccole: non salvano il mondo. È una questione di politica, non dei singoli individui».

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