Maurizio Bertera
Ora sarebbe interessante sentire un parere su chi considerava la cucina giapponese «di moda». Perché se sushi e sashimi sono diventati per i più giovani un'alternativa seria alla pizza, il successo del ramen non fa che confermare la preparazione e la curiosità degli appassionati italiani verso la cucina etnica. Il ramen semplificando, possiamo definirlo come una zuppa con gli spaghetti rappresenta l'essenza della cucina «di popolo» nel Sol Levante, lontana dal sushi che nel consumo in patria non è dissimile dal nostro panino. È talmente nella cultura del Paese che gli sono stati dedicati tre musei, il più famoso dei quali a Ikeda si chiama Momofuku Ando Ramen Museum. Ando fu l'imprenditore che nel 1958, in un Giappone che stava rinascendo, ebbe la genialata di inventarne la versione istantanea - il Chikin Ramen e venderlo a un prezzo bassissimo, sfamando così le fasce povere e giovani della popolazioni. Il suo instant ramen basta aggiungere acqua bollente e si può mangiare è stato votato come l'invenzione giapponese del XX secolo e oggi sfiora i 100 miliardi di confezioni all'anno. Fa sorridere che l'orgoglio giapponese sia nato in Cina, anche se non sono chiari il periodo e il perché dello «sbarco», come si discute ancora sul significato della parola. Sta di fatto che il cardine della preparazione non sono le tagliatelle (per noi è più corretto chiamarle così, visto che gli spaghetti sono più sottili) come tutti pensano ma il brodo: le prime in definitiva variano solo nella forma e lunghezza. Possono essere grosse, sottili, o perfino come dei nastri, così come dritte o arricciate. Ma gli ingredienti sono quattro e canonici in tutte le isole (e nel mondo): farina di frumento, sale, acqua e kansui, che è un tipo di acqua minerale alcalina che le rende sode e di un colore tendente al giallo: al massimo è concesso di usare uova al posto del kansui. Le tagliatelle «nuotano» in un brodo ristretto (il tipico dashi di pesce e/o quello più moderno di carne di pollo o maiale) con un varietà di ingredienti: kombu (tipo di alga marina), funghi shitake, cipolle, fettine di maiale arrosto, kamaboko (il prodotto con surimi e pesce azzurro frullati) e via dicendo. Per la tradizione, i ramen vengono divisi in quattro varianti in base al tipo di brodo: Shio (brodo chiaro e salato), Tonkotsu (realizzato con ossa di maiale), Shòyu (molto scuro, a base di pollo e verdura) e Miso (condimento derivato dai semi di soia gialla). Ma le decine e decine di varianti regionali, tra cui quella «ricercata» di Sapporo (che mischia carne trita di maiale e frutti di mare) e la diffusione all'estero di ricette più adatte ai gusti locali rende questa classificazione meno netta. In realtà, quello conta per un buon ramen è il modo in cui i vari ingredienti arrivano a creare l'umami, il quinto gusto, quello che in giapponese vuol dire «saporito» e unisce gli altri quattro.
Detto questo, la capitale italiana del ramen è Milano e non potrebbe essere diversamente per la diffusione storica della cucina etnica, asiatica in particolare: ci sono una decina di locali, più o meno suggestivi, dove il piatto è ben interpretato. Ma si trovano buoni posti a Firenze, Torino, Bologna e Roma: se avete amici giapponesi, potete chiedere il loro parere in attesa che come per sushi & sashimi arrivi il vero boom. E arriverà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.