Giovanni Antonucci
Peppino De Filippo ha costituito, con Petrolini e Totò, la triade dei nostri grandi attori comici del Novecento. Chi non l'ha visto recitare a teatro, non può neppure immaginare la sua creatività, le sue imprevedibili invenzioni sceniche, la sua «follia» comica. Per fortuna ci sono rimasti i suoi film, dove Peppino è stato l'unico a gareggiare con Totò sul piano della comicità pura. La genialità dell'interprete ha, però, oscurato le qualità del drammaturgo, ingiustamente sottovalutato da una critica che cadeva, invece, in deliquio di fronte anche alle più brutte commedie (e sono tante) del fratello Eduardo. Non è vero ma ci credo, in scena al Teatro Quirino di Roma e in tournée, è probabilmente il suo capolavoro, ricca com'è di umori, gustosa nei personaggi e nelle situazioni non solo comiche, ravvivata da un dialogo felicissimo. Ha per protagonista un ricco industriale, Gervasio Savastano, superstizioso in maniera patologica, tanto da giudicare i suoi dipendenti in base alle loro capacità iettatorie o alla loro fortuna, ai suoi occhi rappresentata da una vistosa gobba. Ma se è facile licenziare uno iettatore, è assai più difficile affidare in moglie la propria figlia a un gobbo che pure ha portato a un maggiore successo la sua azienda.
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