Il nostro Giubileo al tempo dell'Apocalisse. Per non arrenderci

È un momento di confronto e di riscoperta delle radici anche per chi non crede perché la bellezza appartiene a tutti. Chi la distrugge, distrugge Dio e la civiltà

Il nostro Giubileo al tempo dell'Apocalisse. Per non arrenderci

Il Giubileo al tempo dell'Apocalisse. L'ultimo, prima della fine del mondo. O, forse, del mondo cristiano. Il Papa avverte, intanto, che il suo compito è testimoniare prima che la Chiesa sia travolta dal peso della sua stessa insolente ricchezza davanti all'insopportabile povertà di tanti. A chi parla e per chi parla la Chiesa? Così il Papa decide di chiamarsi Francesco, la scelta più semplice e rivoluzionaria, prendere il nome del primo santo, del patrono da cui la Chiesa si sente così distante che nessun papa ha pensato di chiamarsi come lui, per non ridursi al suo stato o sottoporsi a un impari confronto. Una rimozione. Francesco cerca di impedire che la Chiesa si rovesci su se stessa. Le storie dei cardinali incontinenti nei loro smisurati alloggi, imperdonabili nella loro lussuria, indicano la contraddizione di quei valori su cui la Chiesa stessa si è fondata.

Dove è Cristo? E per chi è venuto? Francesco è tentato, come San Lorenzo, di donare ai poveri i beni della Chiesa; ma teme di condividere la povertà e non la ricchezza, passando dagli esempi simbolici a quelli reali. Per questo convoca il Giubileo, che vuole essere una riflessione sullo stato della Chiesa e sul suo futuro, sempre più incerto da quando l'Europa, sempre più Eurasia, si è data una costituzione che, se non esclude, ignora le radici cristiane. Eppure quale regnante, in ogni Paese, e non solo d'Europa, ha più seguito del Papa? E cosa indica quel consenso se non una consapevolezza di valori e uno spontaneo processo di identificazione? Dunque una prova che, rappresentando Cristo e Francesco, il Papa evoca, prima che una idea minacciosa e tremenda di Dio, la forza, il coraggio, l'amore di un dio che ha deciso di umiliarsi nella condizione dell'uomo fino allo scherno e alla morte (ecce homo). La grandezza di Cristo non è nella sua natura divina, ma nella sua natura umana. Cristo è in quanto uomo. La sua resurrezione è un riscatto, ma ciò che importa è che Cristo resti con noi, non ci abbandoni, come confermano i pellegrini di Emmaus che lo vedono ancora vivo perché mai morto, forse, piuttosto che risorto. Nel suo muoversi il Papa ripropone colui che è, nel rapporto con i pellegrini di Emmaus, e mostra a un mondo attraversato dalla violenza, in cui l'uomo è «homo homini lupus», la nuova natura dell'uomo «homo homini deus». Una religione dell'uomo, nata da un uomo, e che chiede agli uomini di amarsi, non ammette diversi; ed è pronta a vedere anche nel Dio dell'altro il proprio.

Non è sempre stato così, tra crociate e missioni. Gesù avvertì: «L'ora viene che chiunque vi ucciderà, crederà di rendere un culto a Dio. Faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né me» (Giovanni 16: 2-4). Nell'islam non c'è nessuna indicazione di «amare i propri nemici» e di «porgere l'altra guancia». Mentre il cristianesimo insegna «ama il tuo prossimo come te stesso» il Corano insegna a non fare nemmeno amicizia con un cristiano o un ebreo. I poveri sono solo i poveri musulmani. Qualcuno afferma che l'islam è una religione di pace. Ma solo in prospettiva, quando tutte le religioni concorrenti saranno state sottomesse dall'islam. Per questo obbiettivo i musulmani che commettono atti aggressivi si comportano in modo coerente con l'islam fondamentalista. I cristiani che commettono atti di violenza si comportano in modo contrario al cristianesimo. Per questa asimmetria i bombardamenti in Irak e in Siria sono un peccato grave qualunque sia il loro obiettivo; gli attentati degli integralisti islamici sono un atto di fede. Il cristianesimo vince con la forza delle idee e dell'amore, non con la violenza. E ora la Chiesa deve rifondarsi sulla bellezza, che è, letteralmente, lo splendore di Dio. Nessuna religione ha espresso tanta bellezza come la religione cristiana, perché, diversamente dalle altre religioni monoteiste, può rappresentare Dio, che non è ineffabile, indicibile, irriproducibile: la mente dell'uomo può comprenderlo, in quanto Cristo è uomo, e la sua vita può essere narrata, illustrata. E anzi l'arte sembra la prova dell'esistenza di Dio. Come può Dio non esistere, se ha dato il suo volto a Pietro Cavallini, a Masaccio, a Leonardo, a Michelangelo, a Caravaggio. E noi, attraverso di loro, conosciamo la sua storia e la sua gloria.

Per questo il Giubileo sarà il momento non di un dialogo, ma di un confronto, di una rinnovata comprensione, perché la bellezza appartiene anche a chi non crede, e chiede solo di essere guardata. Chi distrugge la bellezza, distrugge Dio.

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