La nuova pittura arriva dall’Est Europa

La nuova pittura arriva dall’Est Europa

Sarà contento Alessandro Pessoli, unico pittore italiano a essere pubblicato nel secondo tomo della bibbia internazionale della pittura: Vitamin P2. New Perspectives in Painting (Phaidon, pagg. 352, euro 59.95). È il solo fra oltre cento colleghi provenienti da ogni parte del pianeta, a dimostrazione di quanto l’arte di casa nostra non venga tenuta in considerazione da critici e curatori. A quasi dieci anni di distanza dal primo Vitamin P, questo secondo libro ricalca la formula del precedente: un atlante illustrato e commentato da testi di prestigiosi specialisti che analizza lo stato di salute della pittura.
E la prima risposta è che sta benino. Non vediamo all’orizzonte geni assoluti, ma è un fatto che nonostante l’assalto dei new media, l’ostracismo da parte di musei e critici intelligenti, di pittura se ne continua a fare molta e dovunque. Colpisce la quantità e la qualità di artisti provenienti dall’Est europeo, un trend cominciato all’inizio dello scorso decennio con l’affermarsi della scuola di Lipsia e di Dresda, da cui provengono Matthias Weischer, Martin Kobe e Christoph Ruckhaberle, molto quotati sul mercato. Rapidamente gli altri Paesi dell’ex blocco comunista hanno saputo riscattarsi dai decenni di dittatura, grazie a quei giovani cresciuti in democrazia, che hanno esternato la voglia di riscatto dei fratelli maggiori. Vengono da Romania, Polonia, Russia, Moldavia, Georgia e rappresentano di gran lunga la new thing dell’arte pittorica, più di cinesi e indiani. Nomi da segnare? Adrian Ghenie, un talento strepitoso, Marcin Maciejowski, Serban Savu, Andro Vekua, Paulina Olowska e Victor Man.
Insieme all’America, che non ha mai smesso di far pittura, è ancora la vecchia Europa a spiccare (con esclusione dell’area mediterranea: oltre all’Italia è irrilevante la presenza francese e spagnola), con ottime prestazioni a Nord e nel Regno Unito. Da segnare Richard Aldrich, elegante minimalista che qualche anno fa in Italia si comprava a 2mila euro e ora costa caro; Jules de Balincourt, francese di stanza a New York; Michael Borremans, belga freddo e realista; la norvegese astratta Ida Ekblad; e il fantasioso romantico inglese Christopher Orr.
Nel secondo decennio del Duemila salutiamo la quasi scomparsa del fondo bianco, che in precedenza aveva dato il là al prevalere del disegno e a una certa sciatteria nella confezione. Oggi la pittura ha riscoperto l’ipertrofia del colore, la bellezza del gesto, l’eterodossia dell’immaginario: tutte qualità che sembrerebbero tipiche caratteristiche maschili e che invece trovano soprattutto nelle donne le espressioni migliori. In Vitamin P2 è importante la presenza femminile, forse segno di un forte cambiamento di prospettiva e di mentalità, se si pensa che negli anni ’50 la moglie di Pollock doveva usare un nome da uomo, Lee Krasner, per vincere l’indifferenza della critica.
Le proposte dell’estremo oriente, Cina in testa, risultano meno eccitanti rispetto a dieci anni fa, quando non si parlava d’altro, mentre l’India e il Sudest asiatico non sembrano ancora pronti. Forse la generazione cresciuta, tra Pechino e Shangai, nel boom economico dimostra meno energia di quella emersa nel periodo post-Tienanmen. In ogni caso, i vari Liu Xiaodong e Li Dafang sono ormai delle star internazionali.
Ciò che accomuna le diverse esperienze è lo stesso fenomeno che si riscontra nella musica: il forte desiderio di passato, la necessità di aggrapparsi alla tradizione avendo inteso che trovare il nuovo e l’originale è impresa titanica.

Clamorosa, infine, la mancanza del Pop Surrealism (Low Brow) dell’area West Coast, vitale e generosa, esclusa più per snobismo che per ignoranza, così come sfugge il motivo per il quale la pittura italiana non piaccia e non interessi.

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