nostro inviato all’Aquila
Barack Obama sceglie un atteggiamento realista: «Passi avanti importanti, anche se i progressi futuri non saranno facili», annuncia con riferimento all'ambiente. Certo. Non è stato un passo storico, viste le resistenze di qualche Paese emergente che ha chiamato in causa la sua crescita in merito alle ghigliottine previste sulla produzione di Co2. Ma il consenso, quello sì storico, alla fine è venuto in superficie. Tutti sono preoccupati delle variazioni di clima, compresi gli Stati rampanti dell'Asia e del Sudamerica, e tutti hanno garantito di volersi impegnare in vista della conferenza Onu di fine anno a Copenhagen. «Cina e India ci hanno sorpreso per la loro disponibilità - rivela così Berlusconi al termine della giornata - ma sono soprattutto gli Usa che si sono messi alla testa del movimento per cambiare lo stato delle cose, quando in precedenza non avevano questo obiettivo».
È un riconoscimento oggettivo per l'ospite americano che ricambia l'omaggio parlando di «eccellente ospitalità» italiana. E che, con tutta probabilità, serberà della tre giorni aquilana un buon ricordo. Non solo per l'accoglienza ricevuta, ma per la testimonianza offertagli dal resto dei grandi della terra sulle attese che ripongono su di lui. Su un «nuovo modello» di gigante Usa: più disposto al dialogo, all'innovazione, a soluzioni che tengano conto delle realtà esistenti e non deciso a ripiegarsi su sé stesso come, pure, si poteva temere.
Sembra esserne consapevole il presidente Usa che occorre muoversi: «Dobbiamo dare forma al nostro futuro e non lasciare che gli eventi lo facciano per noi». Mica solo parole. Come svela Berlusconi in chiusura - Obama aveva parlato come guida del G14 e ha poi lasciato il palco al padrone di casa, direttore d'orchestra del G8 - l'inquilino della Casa Bianca vuole incidere nel profondo: «Ha annunciato, e la cosa mi ha colpito particolarmente, visto che io sono un figlio dell'epoca della guerra fredda - ha detto il premier - che l'anno prossimo a marzo cercherà di convocare un vertice tra tutti i Paesi possessori di armi atomiche per cercare di arrivare a un disarmo generalizzato». Dopo i recenti accordi di Mosca, insomma, Obama già guarda oltre. E Berlusconi approva, convinto. Come si mostra sicuro che Obama, che pure continua a stendere la mano a Teheran nonostante la repressione post-elettorale, sia deciso a rispettare il limite di fine anno alla sua disponibilità. Cui seguirebbe una condanna, non solo a stelle a strisce, ma stavolta dell'intero mondo.
Ma è sull'ambiente, soprattutto che si concentra l'attenzione. Obama rileva che c'è un accordo tra i grandi del mondo per raddoppiare gli investimenti nella tecnologia pulita e nella ricerca entro il 2015. Conferma Berlusconi: i Paesi emergenti hanno dimostrato di «voler contribuire». E il primo progetto concreto che vede luce ai piedi del Gran Sasso è - come prosegue il nostro presidente del Consiglio - «un nuovo istituto globale per la cattura e il sequestro del carbonio».
Obama rincara: per la prima volta - nota - sono stati indicati obiettivi molto ambiziosi (la riduzione delle emissioni col limite della crescita di due gradi da oggi al 2050) cui si augura si aggiungano anche quei Paesi che oggi restano fermi alla dichiarazione di principio. Lui annuncia che Washington farà la sua parte senza esitazioni («I Paesi grandi devono dare l'esempio e noi raddoppieremo i fondi per la ricerca di energia pulita!») ma aggiunge che serve che ognuno la faccia senza esitare troppo, visto che «nessuno può farcela da solo».
Berlusconi annuisce prima di prendere il posto sul podio. È convinto di averci messo del suo in questo risultato significativo. Ha lavorato bene. E il sigillo alla serata arriva al termine della conferenza stampa, quando un giornalista di «Repubblica» chiede conto al premier dell’accusa rivolta al suo gruppo editoriale di aver compromesso con una campagna stampa l’immagine dell’Italia nel mondo. «Cosa pensa ora dei riconoscimenti che le hanno dato, qui, i capi di Stato e di governo stranieri?». E lui, con soddisfazione e un sorriso: «Cosa ne penso? Che non avete raggiunto il risultato che volevate. Auguri!».
Non ha niente di cui lamentarsi, Berlusconi alla vigilia della chiusura del summit. L'Aquila si è rivelata scelta azzeccata (la funzionalità, certo, ma molti sono rimasti colpiti da quel che hanno potuto vedere), l'agenda c'era, corposa, e si è chiusa positivamente in più di un capitolo - commercio mondiale, ambiente, problematiche regionali e terrorismo, mentre si attende proprio oggi, in chiusura, un grande impegno per la rinascita africana - gli invitati sono stati larghi di riconoscimenti.
Il presidente del Consiglio si mostra soddisfatto ma non ruota la coda pavonescamente. «C'è stata una condivisione della volontà di tutti per cercare di risolvere la crisi», annota compunto. Ed elenca - senza dilungarsi - i tanti nodi sciolti. Esorta poi a dar vita a «un piano Marshall» per permettere ai palestinesi di raggiungere livelli di vita quali quelli israeliani, in modo da garantire «una pace duratura»; annuncia che si è dato vita formalmente al G14 che permetterà «una dialettica importante» che spesso non si riesce a far decollare negli incontri a 20; tiene a ricordare come, per il superamento della crisi, si sia trovato pienamente d'accordo nel porre «l'uomo e soprattutto l'uomo che soffre» al centro dell'attenzione e degli interventi che gli Stati dovranno mettere in atto; assicura che il fatto di aver impartito un limite a fine anno per l'accordo sul commercio mondiale, potrà servire non poco alle economie più deboli.
Proprio la situazione dell'Africa oggi chiude il summit. Berlusconi annuncia che si discuterà di un aiuto tra i 10 e i 20 miliardi di dollari. «Ma - tiene a precisare - credo che approfondiremo la questione di come far giungere il nostro sostegno. Non più soldi consegnati a governi locali, che in alcuni casi non li facevano pervenire a chi più ne aveva bisogno, ma realizzazioni concrete: ospedali, ferrovie, scuole, autostrade».
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