«È un onore aprire Cannes con un film hollywoodiano»

Los AngelesOggi apre il festival di Cannes, e Sir Ridley Scott, il cui Robin Hood interpretato da Russell Crowe e Cate Blanchett inaugura fuori competizione la rassegna, non nasconde la sua soddisfazione. E neppure il suo dispiacere per non poter essere sulla Croisette, a causa di un problema di salute. «Sono felice e onorato - spiega -. Non avrei potuto avere piattaforma pubblicitaria migliore per il mio film che uscirà in Europa e in molti Paesi del mondo quasi in contemporanea. Ma soprattutto sono molto orgoglioso perché non ero sicuro che i programmatori di Cannes avrebbero amato il film. È un’opera hollywoodiana, con budget molto alto... Insomma, è l’antitesi del tipico film da festival. Ma è piaciuto. Per me, davvero un grande onore».
Questo è il suo quinto film con Russell Crowe dopo Il Gladiatore, A Good Year, American Gangster e Body of Lies. Quali sono le ragioni del successo del vostro sodalizio?
«Siamo fatti della stessa stoffa, rimettiamo sempre tutto in discussione. Amiamo entrambi le sfide, vogliamo sempre dare il nostro meglio, e forse è per questo che il matrimonio professionale funziona».
Qual è la novità del suo Robin Hood rispetto ai tanti precedenti?
«Gli unici tre che ho visto sono quello di Mel Brooks, Robin Hood - Un uomo in calzamaglia, una commedia; quello di Kevin Costner, Robin Hood principe dei ladri, che è una specie di commedia romantica; e quello del 1938 con Errol Flynn, Le avventure di Robin Hood. Io ho deciso di fare un film più ancorato nella storia. Adoro quell’epoca, il XII secolo, e mi intrigava l’idea del ritorno di Riccardo Cuor di Leone dalla crociata con l’idea di rendere più forte e ricca l’Inghilterra. Ma nel film muore dopo otto minuti e lascia il regno nelle mani dell’inetto fratello Giovanni, lasciando nel contempo allo sbaraglio i suoi soldati, tra cui l’arciere Robin Longstride, che sono stati lontani dalla patria per dieci anni. Mi sembrava un ottimo inizio, e il film mostra come Longstride diventerà, in un certo senso suo malgrado, il Robin Hood che tutti conosciamo».
Perché questa storia è ancora importante?
«I problemi politici ed economici sono un fenomeno costante. E anche lo sfruttamento della popolazione lo è. Una figura come Robin Hood, che ruba ai ricchi per dare ai poveri, non può che affascinare. Possiamo dire che le cose sono diverse oggi? Non veramente. Penso che siamo vestiti meglio, nutriti meglio, andiamo in automobile, certe cose sono più facili. Ma altre non sono cambiate molto».
Lei è conosciuto per produzioni epiche. C’è qualcosa in questo film che sulla carta l’ha spaventata e di cui è particolarmente fiero?
«Immaginavo che il finale, con lo sbarco dei francesi sulle spiagge inglesi e relativa battaglia, sarebbe stato difficile. Uno dei problemi principali quando si gira un film è che non c’è mai abbastanza tempo. Quando guardavo i piani di lavoro e vedevo che avevamo solo nove giorni per quelle riprese mi sembrava una pazzia, pensavo che ci volesse almeno un mese. Ero preoccupato, e ciò ha creato discussioni e riunioni a non finire col mio team a proposito di quella sequenza».
E com’è finita?
«Le riunioni sono state un bene, perché quando abbiamo iniziato a girare siamo stati davvero efficaci, e abbiamo colpito il bersaglio nei tempi stabiliti. È stato duro perché in quella sequenza tutto si muoveva: la marea, i cavalli, gli uomini, le barche che non stanno mai ferme e non ti permettono di filmare due volte la stessa cosa. Ma ci siamo riusciti».
Il montatore di Robin Hood è Pietro Scalia, che ha vinto il premio Oscar per JFK e Black hawk down e che ha già lavorato con lei. Che cosa fa di Scalia uno dei suoi collaboratori più fidati?
«Premetto che uno degli aspetti che amo di più nel mio lavoro è operare alla macchina da presa. Lo facevo quando si girava con una o due macchine, ma adesso che lavoro anche con cinque o dodici al giorno, succede raramente. Quando giri cerchi sempre quel momento particolare, viscerale, in cui dici “questa è l’immagine perfetta!”».


E Scalia?
«Pietro capisce qual è l’immagine giusta, è uno dei pochi montatori che può iniziare a lavorare anche se io non ho ancora visto i giornalieri, perché mi fido completamente di lui. Ciò rende il processo più rapido, perché mentre io sto ancora filmando lui ha già iniziato a montare».

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