«A Odense, una donna che stava per essere aggredita fu costretta a rifugiarsi nel suo tetto. La folla fracassò i vetri per irrompere in casa sua. Alcuni giovani si arrampicarono dietro a lei, lasciandola a terra svenuta. Mentre era incosciente le strapparono i capelli, la rasero integralmente, la violentarono». Quella raccontata dalle storiche K. Ericsson e S. Simonsen (I «figli» di Hitler, Boroli, pagg. 204, euro 14) è solo una delle storie di violenza capitate a guerra conclusa alle «puttane del crucco», le donne scandinave colpevoli di avere avuto legami con soldati tedeschi durante loccupazione nazista. Matrimoni e unioni favorite sin dalla metà degli anni 30 dal Reich, in un progetto voluto da Hitler, e di nome Lebensborn, «sorgente di vita». Il piano prevede laccoppiamento di militari tedeschi con donne scandinave, in particolare norvegesi, considerate di «alto valore razziale».
Lebensborn è ritenuto così essenziale da essere gestito dal Führer in persona, che avoca a sé la ratifica dei matrimoni tra i suoi militari e le donne del Nord Europa. Nato nel 1935, il disegno nazista trova la sua prima applicazione in Germania, per poi subire un impulso decisivo dopo la dichiarazione di guerra allUrss nel 1941. Alle donne incinte di figli illegittimi di padre tedesco vengono fornite assistenza e vitalizi. Nella sola Norvegia a occuparsene sono circa 300 dipendenti, impegnati a dare soccorso a più di 10mila bambini nati tra il 1941 e il 1945. Ma loperazione Lebensborn è destinata presto a eclissarsi, di pari passo con le prime sconfitte della Wehrmacht e con la crescente rabbia delle popolazioni scandinave nei confronti del «nemico invasore».
A pagare sono prima di tutto proprio loro, le «puttane del crucco»: inserite nelle liste pubbliche di «traditrici della Patria», sono abbandonate dalla famiglia, perdono il proprio lavoro, diventano oggetto di inaudite violenze. Da subito, il governo norvegese non le tutela. Al contrario: a fine maggio del 1945 sono circa mille le arrestate nella sola Oslo, rinchiuse in campi di smistamento e di concentrazione. Ma lesecutivo fa di più: nellagosto dello stesso anno approva una legge retroattiva secondo la quale ogni donna «sposatasi nei cinque anni precedenti con un nemico tedesco, perderà immediatamente la cittadinanza». E i sondaggi di opinione confortano il legislatore: tre cittadini su quattro sono favorevoli a una loro punizione, caldeggiata anche da quasi tutti i media. Per uno dei più autorevoli quotidiani, ad esempio, «tutti questi bambini tedeschi cresceranno e costituiranno una larga minoranza bastarda allinterno del nostro popolo». Vanno quindi perseguiti, perché «sono incapaci di diventare norvegesi: i loro padri sono tedeschi, le loro madri sono tedesche per mentalità e per comportamento».
Fa a loro eco Ørnuf Ødegård, uno dei più noti psichiatri del tempo, secondo cui «queste donne sono con ogni probabilità mentalmente ritardate» e «in ragione della teoria dellereditarietà anche buona parte dei loro figli lo sarebbe stata». Per questo, si inizia a pensare a deportazioni di massa, rinominate «denazionalizzazioni», per evitare sinistre analogie con la «soluzione finale» messa a punto dai nazisti. Le ricerche per trovare sistemazione sono frenetiche: a un primo trasferimento di trenta bambini in Svezia segue lidea, mai realizzata, di una deportazione di massa in Australia.
Il delirio di unintera nazione è destinato, comunque, a scemare con linizio della Guerra fredda.
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