E adesso prendeteli tutti e tre, i nostri eroi del mucchio selvaggio con i pattini, mettetegli un microfono della Rai sotto il naso e fategli cantare l’inno come al povero Plankensteiner. Adesso chiedete loro di imbracciare le chitarre e suonarlo in chiave rock, visto che sono fenomenali nello strimpellare heavy metal nei momenti di relax.
Adesso organizzate un happening come quello riservato allo slittinista altoatesino: terrorizzateli, costringeteli a chiedere scusa se sbagliano una nota o se s’incartano sull’elmo di Scipio, portateli in catene in televisione e fateli cantare per verificare che non mentano. Adesso, in questa Guantanamo olimpica, controllate che non ci sia italiano con passaporto italiano incapace di gorgheggiare il Mameli song (anche fra i giornalisti) pena la restituzione della medaglia, dell’accredito, dei peluche di Neve e Gliz e delle ricevute per le note spese.
Adesso fate sentire gli altoatesini meno italiani degli altri solo perché non cantano a squarciagola l’inno; loro s’allenano, vincono, fanno onore alla nostra bandiera, ma finché non partecipano a questo ridicolo Zecchino d’oro non hanno il diritto di essere considerati Veri Azzurri e i loro bronzi sono stonati. Adesso, però, cominciate a considerare stonate anche le smorfie di Camoranesi quando gioca la nazionale di calcio. Già, ma nella no man’s land del pallone tutto è lecito, anche sentirsi argentini e vestire la maglia azzurra. E nessun politico osa alzare la voce.
Adesso, infine, provate a convincere Michael Schumacher a non trattare l’inno di Mameli come un jingle da Radio Freccia quando sale sul podio di un gran premio, ballando trullero o facendo paraponzi con le dita. Lui è tedesco, ma il marchio che rappresenta no.
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