Ora i giudici accelerano i processi a Berlusconi

Con le dimissioni cade il legittimo impedimento del premier: i tribunali già si preparano a moltiplicare le udienze

Ora i giudici accelerano  i processi a Berlusconi

Una brusca accelerazione dei processi, non più condizionati dagli impegni governativi dell’imputato: e con la prospettiva, a quel punto, di arrivare alle sentenze in tempi brevi se non brevissimi. È questo lo scenario che il cambio della guardia a Palazzo Chigi aprirebbe per le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi davanti al tribunale di Milano. Anni e anni di polemiche, di ricorsi, di leggi, di scontri fin davanti alla Corte Costituzionale verrebbero spazzati via nel più semplice dei modi: le dimissioni di Berlusconi dalla presidenza del Consiglio ridurrebbero il Cavaliere allo status di semplice deputato. Per i processi in corso a Milano cambierebbe tutto: non più slalom speciale tra i paletti dei «legittimi impedimenti» del premier, ma discesa libera verso la sentenza. La Procura lo sa ed è pronta ad approfittarne.

Berlusconi è attualmente sottoposto a Milano a tre procedimenti penali, dopo che la assoluzione emessa dal gip Maria Vicidomini lo scorso 18 ottobre lo ha fatto uscire dalla scena dell’inchiesta Mediatrade. Restano le vicende per cui il Cavaliere è già stato rinviato a giudizio: i rapporti con «Ruby Rubacuori», la gestione dei diritti tv da parte di Mediaset e la presunta corruzione del testimone inglese David Mills. Soprattutto in questo processo, che fino a poco tempo fa sembrava destinato alla prescrizione, l’uscita di Berlusconi da Palazzo Chigi aprirebbe nuove chance per la Procura.

Il pubblico ministero Fabio De Pasquale potrebbe chiedere al tribunale di inserire in calendario nuove udienze. E puntare dritto alla requisitoria: il 28 novembre verrà sentito Mills in collegamento da Londra, il 5 dicembre dovrebbe essere interrogato Berlusconi. Poi, in teoria, il processo avrebbe dovuto fermarsi fino a gennaio. Ma le dimissioni del premier cambierebbero bruscamente lo scenario, anche perché, verosimilmente, uscirebbe dall’agenda del Parlamento la norma sulla «prescrizione breve» attualmente in attesa di approvazione. E una cosa è sicura: quando prenderà la parola, De Pasquale chiederà la condanna di Berlusconi. A quanto? Certamente non meno dei quattro anni e otto mesi che aveva proposto per Mills.

Imboccherebbe la corsia di accelerazione pure il processo per i diritti tv, anch’esso finora in lotta contro la prescrizione. Mentre il processo «Rubygate» ha già davanti a sé una tabella di marcia talmente intensa - da gennaio si farà udienza praticamente ogni settimana - da rendere difficile alzare il ritmo: e lì, comunque, rischi di prescrizione non ce ne sono.

Le dimissioni di Berlusconi farebbero saltare l’accordo faticosamente raggiunto tra i legali del Cavaliere e i vertici del tribunale di Milano, che prevedeva una mediazione tra le esigenze dei giudici di celebrare i processi e quelle del presidente del Consiglio di governare il paese: Niccolò Ghedini e Piero Longo avevano dato la disponibilità a tenere udienza tutti i lunedì, garantendo che il loro assistito, in caso di impossibilità a essere in aula, non si sarebbe opposto al regolare svolgimento del processo. Questo gentlemen agreement, già messo in discussione da alcune decisioni dei giudici incaricati dei processi, potrebbe saltare del tutto, Berlusconi si potrebbe ritrovare convocato a udienze a raffica. E arriverebbero le sentenze.

È lo scenario, insomma, che qualcuno aveva già evocato un mese fa, quando per la prima volta si era parlato di un «passo indietro» di Berlusconi e della necessità di trovare una qualche forma di salvacondotto giudiziario.

Quando un giornalista aveva chiesto al capo della Procura milanese, Edmondo Bruti Liberati, se esisteva la possibilità di una trattativa in questo senso, Bruti aveva risposto seccamente «la domanda è irricevibile». Difficile che ora le cose siano cambiate.

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