Osama Bin Laden aveva sulla coscienza decine di migliaia di persone massacrate dai terroristi suicidi islamici ovunque nel mondo. L’attentato dell’11 settembre 2001 l’aveva elevato a principale nemico degli Stati Uniti. Ma la verità è che gran parte delle sue vittime sono stati dei musulmani. Ecco perché, pur senza esultare, non possiamo non condividere la valutazione che la sua morte corrisponde a un atto di giustizia. Nella consapevolezza che, come nel caso dei grandi tiranni della storia, sarebbe stata inopportuna la sua cattura per processarlo di fronte a un tribunale internazionale, che lui avrebbe trasformato in un palcoscenico per ergersi a eroe e martire del Jihad.
Il dato più significativo della sua uccisione è il consolidamento dell’alleanza tra l’Occidente e l’islam radicale che veste in giacca e cravatta, ma impone la legge coranica e intende sottomettere l’umanità. È il caso del Pakistan che è ufficialmente una Repubblica islamica che fa propria la sharia e che legittima la repressione dei cristiani con la legge sulla blasfemia. L’islam radicale in doppiopetto è principalmente rappresentato dai Fratelli Musulmani. Il loro motto recita: «Il Jihad è la nostra via, il martirio è il nostro desiderio». Per aderirvi i militanti pronunciano un solenne giuramento: «Il vessillo dell’islam deve sventolare alto sul mondo. Prometto di lottare finché vivrò per realizzare questa missione e di sacrificare ad essa tutto ciò che posseggo».
L’uccisione di Bin Laden da parte delle forze speciali americane e pachistane rappresenta simbolicamente il successo più importante del patto tra l’Occidente e gli islamici radicali «dialoganti», che aveva registrato i suoi primi risultati nel 2006 con la vittoria di Hamas in Palestina e l’ingresso nel Parlamento egiziano dei Fratelli Musulmani. Questi ultimi emergono come i principali beneficiari dei moti popolari che hanno costretto Mubarak a dimettersi, troppo frettolosamente elogiati come una rivoluzione per la democrazia e la libertà. Ebbene i Fratelli Musulmani in Egitto e il loro corrispettivo in Tunisia, il Partito Ennahda, sono passati da una condizione di illegalità a garanti della continuità del regime militare al potere, accaparrandosi il controllo del fronte interno.
Sbagliano i commentatori che si innamorano delle contrapposizioni ideologiche ad immaginare un Obama «pacifista» che sarebbe stato capace di centrare il bersaglio senza rischiare di produrre i deleteri «effetti collaterali», rispetto al suo predecessore Bush concepito come il «guerrafondaio» per antonomasia. La verità è che fu proprio Bush, insieme all’allora premier britannico Blair, ad avviare la strategia dell’intesa con i Fratelli Musulmani. Obama sta operando all’interno del solco tracciato da Bush e ha raccolto il risultato più eclatante, l’uccisione di Bin Laden, grazie al consolidamento di quell’intesa. Non è affatto casuale che ieri i Fratelli Musulmani abbiano manifestato apprezzamento per l’operazione.
Sono stato il primo giornalista a far conoscere Bin Laden agli italiani all’inizio degli anni Novanta, quando era semisconosciuto a livello mondiale. Era riuscito, investendo un patrimonio di circa 500 milioni di dollari, a privatizzare il terrorismo islamico, sottraendolo al monopolio dei cosiddetti «Stati canaglia», che all’epoca erano la Libia di Gheddafi, l’Irak di Saddam e la Siria di Assad; ed era riuscito a globalizzarlo ramificando una rete di cellule terroristiche in varie parti del mondo che erano legate ideologicamente ma autonome sul piano del reperimento fondi, scelta dei militanti e individuazione dei bersagli. I servizi segreti di tutto il mondo furono costretti ad azzerare i parametri con cui valutavano le organizzazioni terroristiche mediorientali. L’attentato alle Torri Gemelle fu assolutamente imprevedibile perché nessuno immaginava che si potesse arrivare a trasformare degli aerei dirottati con centinaia di persone a bordo in un’arma da scagliare crudelmente contro dei grattacieli per abbatterli e provocare il massacro di migliaia di innocenti. Ebbene, Bin Laden è stato capace di trasformare le persone in robot della morte, attraverso un lavaggio di cervello, sconfessando il luogo comune secondo cui i terroristi suicidi sono soltanto vittime della miseria e dell’ingiustizia. Quindici dei 19 dirottatori suicidi dell’11 settembre erano sauditi, il capo Mohammad Atta era egiziano figlio di un noto avvocato, laureato ad Amburgo insieme ai restanti membri del commando. Tutti esponenti della media ed alta borghesia.
Lo stesso Bin Laden era un miliardario, ingegnere, innamorato dell’Occidente e della sua materialità. Ma ad un certo punto rifiutò la dimensione valoriale della modernità occidentale, riparando nel radicalismo islamico. La pericolosità di Bin Laden è insita proprio nella sua capacità di coniugare il meglio della materialità della modernità occidentale con il peggio dell’ideologia islamica che rinnega la sacralità della vita, la dignità della persona e la libertà di scelta.
Con la sua morte si avvia un inesorabile declino del terrorismo che possiamo definire dei taglia-gola, di coloro che perseguono la conquista del potere sormontando i cadaveri dei «nemici dell’islam».
Ma senza farsi illusioni: il terrorismo dei cosiddetti jihadisti continuerà e nell’immediato cercherà di assestare dei colpi particolarmente cruenti per confermare che la guerra santa non si conclude.
A questo punto voglio essere molto chiaro: per noi occidentali è comunque più facile vincere la guerra contro i taglia-gola, che non contrapporci alla strategia di islamizzazione dell’umanità perseguita dai Fratelli Musulmani che ho ribattezzato terroristi «taglia-lingua». È un errore fatale immaginare che per affrancarci dai taglia-gola ci si possa affidare ai taglia-lingua. Mentre i primi ci costringono a impugnare le armi e la nostra guerra acquisisce una legittimità perché si tratta di salvaguardare il nostro sacrosanto diritto alla vita, di fronte ai secondi siamo inermi perché sfruttano le nostre leggi per affermarsi e la sharia per sottometterci.
Ha ragione il cardinale bolognese Giacomo Biffi, quando mi dice che il nostro vero nemico non sono gli islamici bombaroli ma i cosiddetti islamici moderati che ci impongono moschee e scuole coraniche.
Perché prima o dopo sgomineremo i terroristi, mentre i simboli del potere islamico che si diffondono tra noi finiranno per trasformarsi in una realtà strutturale e alla fine ci imporranno l’islamizzazione. Ecco perché, se l’uccisione di Bin Laden è un atto di giustizia, non andiamo oltre nell’affidare le nostre sorti ai terroristi taglia-lingua, i nostri più pericolosi aspiranti carnefici.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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