Nelle province del nord di Cabo Delgado e Niassa esiste un Mozambico off-limits, dilaniato non più dalla feroce guerra interna tra Frelimo e Renamo, ma dal dilagare del fenomeno jihadista che in Africa si sta allargando a macchia d'olio con il suo carico di morte. Al Sunnah, cellula fedele al sedicente Califfato Islamico, semina terrore e tenta di mettere le mani sui giacimenti di gas. Risorsa che fa gola anche alla Russia, presente sul territorio con un gruppo di contractor a sostegno dell'esercito regolare. Le azioni sono violente e i miliziani armati sfidano le istituzioni. Solo nelle ultime settimane ci sono state oltre 100 vittime negli attentati degli integralisti che sventolano il drappo nero. Dopo mesi di attacchi ai villaggi con decine di morti e feriti, i blitz si sono concentrati sulle strade principali, bloccando di fatto la vita sociale ed economica dell'intera regione.
Il viaggio dall'aeroporto di Pemba ai territori di Cabo Delgado e Niassa riserva uno spettacolo desolante. Alle devastazioni del ciclone Iday, che ha raso al suolo tutto ciò che ha incontrato, si aggiungono le distruzioni da parte dei miliziani. Villaggi interi abbandonati dagli abitanti che, per timore, non osano rientrare. Recentemente, nella zona racchiusa tra i distretti di Palma e del capoluogo Pemba, si erano susseguiti per mesi attacchi sporadici di relativa gravità, diretti principalmente contro le forze di polizia. Qualche edificio dato alle fiamme, poche vittime e feriti, rari i civili coinvolti e nulla di più. Le autorità mozambicane sostenevano di avere la situazione sotto controllo ed emettevano notizie con il contagocce cercando di evitare allarmismi. Definivano gli assalitori piccole cellule criminali con idee anti-establishment e legate all'estremismo islamico. Un'indagine delle forze di sicurezza aveva però portato alla chiusura di alcune moschee e all'arresto di centinaia di persone sospettate di avere legami con il gruppo jihadista. Dal 5 ottobre 2017, data di inizio del jihadismo in Mozambico, al 15 novembre 2019, si sono susseguiti 170 attacchi. Le vittime, tra militari e soprattutto civili, molti dei quali decapitati, sono state 436. Al Sunnah ha quindi alzato l'asticella delle sue azioni terroristiche. L'organizzazione sembra suddivisa in varie cellule di 10-20 uomini che attaccano villaggi lontani fra loro. A quel primo raid nella regione ne sono seguiti almeno altri sette a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro. Gli inquirenti parlano adesso di 100 cellule sparse nella regione con un migliaio di affiliati. Gli adepti hanno uniformi e altri aspetti distintivi, si addestrano nell'uso di armi bianche e da fuoco e professano il rifiuto delle istituzioni e della legge.
Il Ministro degli Interni Jaime Basilio Monteiro, aveva attivato nella zona calda un'unità speciale per normalizzare la situazione, assicurando che il gruppo era stato indebolito. Ma la situazione è fuori controllo e la popolazione fugge dalle zone colpite dagli assalti. La Banca Mondiale e le agenzie delle Nazioni Unite hanno allertato i dipendenti invitandoli ad adottare misure di sicurezza e, quasi in contemporanea, l'ambasciata Usa ha chiesto ai suoi connazionali di lasciare la regione «a causa della possibilità di attacchi imminenti», seguita poco dopo da Regno Unito, Portogallo e Canada.
I jihadisti si avvicinano pericolosamente alla cittadina di Palma dove nei giacimenti off-shore di gas naturale operano l'italiana Eni e l'americana Exxon Mobil, ma anche dove si trova il più grande giacimento di rubini del mondo. Un grosso problema per il governo di Maputo, che proprio sullo sfruttamento degli immensi giacimenti riponeva le speranze di uscire dalla crisi economica che colpisce la nazione dal 2016. Al Sunnah non ha intenzione di creare uno Stato islamico vero e proprio, mira a destabilizzare la zona per scopi lucrativi. Le azioni dei jihadisti sono legate al traffico illegale di minerali, avorio e legno pregiato di cui è ricca Cabo Delgado, e il denaro ricavato andrebbe a rimpinguare le casse del nuovo califfo Al Quraishi. I disperati di Cabo Delgado, in fuga, si spingono verso sud, a Nampula, Zambezia e Sofala, che potrebbero trovarsi a gestire nel medio termine un esodo di proporzioni bibliche. A creare ulteriori problemi è la nuova instabilità politica, nonostante l'accordo di cessazione definitiva delle ostilità tra Frelimo e Renamo firmato nella Serra della Gorongosa lo scorso 6 agosto e «benedetto» a settembre da papa Francesco durante la visita pastorale a Maputo. Il 15 ottobre il Paese si è recato alle urne per eleggere il nuovo presidente. Ad aggiudicarsi la vittoria è stato il capo dello stato uscente Filipe Nyusi, leader del Frelimo, che ha ottenuto il 73% dei voti. Il suo principale rivale Ossufo Momade, leader del partito d'opposizione della Renamo, non è riuscito a demolire l'avversario e, anzi, ha perso il 30% dei seggi. L'affluenza, secondo la Commissione elettorale, è stata appena del 50%.
La pubblicazione dei risultati è stata accolta da un mare di proteste. La Renamo ha accusato il partito di maggioranza di brogli e, più in generale, di aver condotto le elezioni in un clima di minacce e paura, sfociato nell'assassinio di alcuni scrutatori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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