Igor Principe
Definirle freddure è limitativo. Piuttosto, erano rasoiate di comicità venate di sarcasmo, pillole al fiele per spezzare la catena degli sketch in quell'Eldorado della risata che era Zelig Circus. Lui li chiamava «momenti catartici». Da allora, per i più, Flavio Oreglio è, appunto, il poeta catartico. Per qualcuno in meno, frequentatore di comicità alternativa alla corazzata guidata da Gino & Michele e cercatore di qualcosa che ricordi le radici del cabaret - il Derby, per intenderci -, l'artista è un punto di riferimento irrinunciabile.
A dimostrarlo è tutto ciò che di Oreglio non è strettamente catartico. E non è poco. La musica, per esempio. E i testi, monologhi articolati in base ad una formula storicamente efficace: quella della risata intelligente.
Lo spettatore ritroverà la fusione di quegli elementi in Siamo una massa di ignoranti. Parliamone, spettacolo che il prossimo 4 maggio debutta al teatro Smeraldo. E che, a suo modo, è stato ritrovato dal suo protagonista.
«Qualche tempo fa stavo mettendo ordine tra i documenti del mio computer e mi sono imbattuto in un file dove c'era scritto solo la frase del titolo - racconta Oreglio -. Mi ha fatto ridere, e da lì è nata l'idea di uno spettacolo che sviluppasse quel concetto, parlando della realtà attuale. Viviamo in un mondo che straripa di stupidità e ignoranza. Io le metto al centro dello show cercando di farne un'analisi, e strappando risate, per tentare poi di elaborare qualche soluzione».
Ne emergono cinque: quattro impraticabili, una obbligata e salvifica. «Una rivoluzione è impossibile, perché è evidente che alle persone non gliene freghi niente - spiega -. L'applicazione della fratellanza ci si ritorce contro: ciò che accomuna gli uomini è il fatto di essere egoisti e incapaci di cambiare. La fuga dalla dimensione pubblica per quella privata finisce constatando che quest'ultima ci crolla addosso quando meno ce lo aspettiamo. La religione pone più domande che risposte. Non rimane che il pensiero. Quello autentico, originale, nostro».
Quello di Oreglio, insomma, è un invito a oliare gli ingranaggi del cervello perché non grippi davanti alla banalità e al piattume. E lo spettacolo stesso si instrada con coerenza verso una forma più ricercata e meno esausta del cabaret di sole battute, recuperando invece un ingrediente che ai tempi d'oro del Derby funzionava a meraviglia: la musica. Ciò per fare quel teatro-canzone oggi un po' abbandonato malgrado i modelli cui rifarsi - tra tutti, Gaber e Jannacci - non appartengano alla notte dei tempi.
«Certo, sono tra i miei riferimenti - precisa Oreglio -. Ma io nasco come musicista, e ho un debito artistico con il rock progressive. In particolare, voglio ripartire da un disco formidabile come quello che fecero insieme De André e la Premiata Forneria Marconi».
Ascoltando i brani dello spettacolo - raccolti in un cd che forma un cofanetto con un libro dal medesimo titolo, edito da Bompiani e in presentazione il 26 aprile alla Feltrinelli di Piazza Piemonte - si comprende quanto ingente sia quel debito.
I tempi di Zelig sono dunque lontani, per questo ex biologo e professore di matematica alle scuole medie. «Mi hanno espulso perché non condividevano i miei metodi: troppo "giovani"».
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