Orlandi, l’ombra della Magliana

«La stanza di Emanuela è ancora lì, pronta ad attenderla, c’è ancora il suo letto. Noi ce la sentiamo viva e mi auguro che sia così». Dopo anni di silenzio Maria Orlandi, la mamma della giovane scomparsa il 22 giugno del 1983 a soli quindici anni, dopo essere andata a scuola di musica dietro la basilica di Sant’Apollinare, torna a parlare.
Sono venticinque anni che aspetta la conclusione di questa dolorosa vicenda e domani sera parteciperà alla trasmissione «Chi l’ha visto?» con un briciolo di speranza in più. La fitta nebbia che avvolge il caso sembra lentamente diradarsi, anche se gli inquirenti preferiscono mantenere il più assoluto riserbo. Nei giorni scorsi, infatti, la mamma della giovane, che oggi avrebbe quarant’anni, i fratelli e la sorella Natalina, per la prima volta dopo la richiesta di nuove indagini inoltrata a piazzale Clodio, sono stati ascoltati come testimoni dal pm Simona Maisto e hanno raccontato la loro verità. Una verità che porterebbe gli inquirenti, coordinati dal procuratore aggiunto Italo Ormanni, ancora una volta al coinvolgimento della banda della Magliana.
Un personaggio misterioso, una donna che avrebbe avuto contatti con l’organizzazione criminale, ha dato nuovo impulso alle indagini parlando di circostanze, date, luoghi e soprattutto indirizzando le ricerche di una possibile verità tra le mura del Vaticano. Le suggestioni della pista internazionale, quella bulgara, il rapimento da parte degli stessi «Lupi grigi» di Alì Agca e i conseguenti legami con l’attentato a Giovanni Paolo II, sarebbero stati messi in secondo piano dalle rivelazioni di questa nuova testimone.
L’inchiesta del procuratore aggiunto Ormanni e dei sostituti Simona Maisto e Andrea De Gasperis, sta esaminando in queste ore il ruolo nella scomparsa di Emanuela, figlia del messo della Prefettura della casa Pontificia, che sarebbe stato ricoperto da personaggi di spicco del sodalizio criminale. In passato a parlare di un legame tra il caso Orlandi e la Banda della Magliana, che per anni terrorizzò la capitale, era già stato il pentito Antonio Mancini, che riferì di un depistaggio fatto da Enrico De Pedis, detto Renatino, uno dei capi dell’organizzazione, sepolto nella Cappella di Sant’Apollinare, proprio in virtù di presunti legami con ambienti vaticani. Tesi smentita, negli anni scorsi, dallo stesso rettore della Basilica.
«Il nome del personaggio chiave di questa vicenda, l’ho fatto io stesso in procura nei mesi scorsi - spiega l’ex magistrato Ferdinando Imposimato, che non ha mai smesso di seguire il giallo e si dice ancora convinto della pista internazionale -. È una persona di ambito istituzionale di cui non posso fare il nome, che mi rivelato il nome di altro personaggio legato ai Lupi grigi di Alì Agca. La Procura di Roma si sta muovendo e sta interrogando persone da me segnalate. Il caso non è affatto chiuso»».


Anche Maria Orlandi è della stessa idea e ieri ha chiesto al Pontefice un intervento diretto. «Se papa Ratzinger facesse un appello - ha detto piena di speranza - anche se è passato tanto tempo, oltre che a farmi piacere, servirebbe magari a fare smuovere le coscienze e a squarciare il silenzio».

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