Argentina contro Brasile. L'Inter è un treno lanciato in corsa, la Roma tiene il passo scatenato dei morattiani. All'Olimpico di Roma la costola argentina apparecchia, in un primo tempo sontuoso, la magnifica esibizione nerazzurra. Crespo suggerisce, Cambiasso realizza dopo il vano correre dei laziali, generosi e un po' rintronati dalla fatica. All'Olimpico di Torino, la risposta della Roma, in tempo reale, è un magnifico manifesto dedicato al calcio brasiliano e alle qualità di Mancini che è il suggeritore delle due stilettate romaniste. Inter padrona del campo, ed è questo forse il particolare che aumenta la luce del primato nerazzurro, anche in dieci contro undici, sotto di uno, non uno qualsiasi, quel genio di Ibrahimovic, capace di farsi mandar via per un capriccio, una reazione da ragazzo di strada invece che da professionista. In tutto il secondo tempo, nonostante l'inferiorità numerica, l'Inter non cede mai il campo e neanche il controllo completo della sfida, segno di una personalità e di una forza ciclopica. Anzi, nel finale, quando la Lazio è con la lingua penzoloni, ecco il gol di Materazzi far capolino a testimonianza di un merito indiscutibile. Questa è l'Inter nuova, che vince, convince e decide di farlo quando vuole, come vuole concedendosi persino il lusso di qualche errore, di qualche distrazione.
La Roma tiene botta anche se la vicenda risulta asfaltata dal mani di Franceschini (Toro subito in dieci) che esalta Abbiati dal dischetto. L'anima della Roma è brasiliana perché brasiliano è il suo giovane portiere, perché brasiliani gli interpreti più sensibili e decisivi del modulo 4-6-0 che tante soddisfazioni comporta e qualche amara esclusione determina da qui ai prossimi mesi. Mancini chiude il conto dopo aver calciato quel tiro che Totti devia lungo la strada. Argentina contro Brasile, allora. Da qui alla fine del torneo, si può immaginare e scommettere: non si può pensare che il Palermo si inserisca o che crescano altre compagnie.
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