Oscar Giannino: "La crisi è colpa dello Stato"

Per il giornalista siamo di fronte a una crisi epocale che aggredisce la piccola impresa, investe la sicurezza di sé e l'erosione di patrimonio accumulato da generazioni formiche mentre lo Stato faceva la cicala

Oscar Giannino:  "La crisi è colpa dello Stato"

Come si è arrivati alla crisi economica attuale?
"Siamo di fronte a una crisi epocale. C'è una prima parte della crisi che dura due anni e comincia nel 2006 per eccesso di consumi privati finanziati a debito nel mondo delle banche anglosassoni e c'è una seconda parte della crisi degli ultimi due anni e mezzo dovuta all'eccesso di consumi pubblici finanziati a debito dall'Europa".

C'è la sensazione diffusa di essere arrivati quasi al capolinea. E' d'accordo?
"Nei paesi eurodeboli più esposti alla crisi, in particolare Italia Grecia e Spagna, siamo arrivati al capolinea. Perché siamo in presenza di rotture di continuità che nel caso greco e spagnolo erano rotture di continuità storiche più brevi perché loro erano arrivati al benessere molto dopo di noi. Noi ci siamo arrivati con la fatica di una generazione che ha rimesso in piedi l'Italia nel secondo dopoguerra e poi negli ultimi 30 anni abbiamo assaporato il benessere vero".

Insomma, nel Belpaese la crisi è ancora più radicale...
"Da noi la rottura di continuità storica è più profonda e aggredisce le ragioni di continuità soprattutto di quella piccola e piccolissima impresa che è un po' ciò che contraddistingue l'Italia come tessuto produttivo ma anche come struttura sociale. Ecco il motivo per cui la crisi in Italia è più profonda di quello che dicono i pur amari risultati economici perché investe la sicurezza di sé, investe per la curva demografica il futuro dei propri figli, investe l'erosione di patrimonio accumulato da generazioni formiche mentre lo Stato faceva la cicala, investe la scommessa di 2-3 milioni di italiani che hanno scommesso tutto su se stessi avendolo appreso dai propri genitori. E quindi hanno fatto piccola impresa e adesso tra banche e tutto il resto non vanno avanti. Quindi diventa una crisi profondamente valoriale".

Si parla molto anche di uscita dall'euro, considerata colpevola del disastro economico attuale. Che idea si è fatto a tal proposito?
"Non è colpa dell'euro. E il fenomeno della diminuzione del potere d'acquisto c'è ogni qual volta che si passa da una moneta all'altra. Cioè ci sono delle prese di profitto di che ne ha vantaggio potendo maneggiare il cambio. In quel caso la soglia di cambio per l'Italia effettivamente fu troppo alta. La soglia di cambio tra Lira e Euro fu imposta dai tedeschi perché sapevano che così eravamo costretti a durissimi anni di razionalizzazione del nostro tessuto produttivo nelle specializzazioni in cui eravamo direttamente concorrenti con loro. Ma la colpa non è dell'euro".

Come fa a sostenerlo?
"Perché l'Italia ha una crisi che viene da prima dell'Euro che dura da più di 20 anni. La bassa crescita italiana rispetto a tutti i paesi avanzati è una crisi tutta italiana e non c'entra neanche troppo con la globalizzazione. Perché da quando nel 2001 abbiamo fatto entrare la Cina nel Wto la verità è che i paesi avanzati hanno fatto crescita e noi no. Nel nostro caso il problema è lo Stato".

In che senso?
"Noi siamo il paese record per ciò che lo Stato ha preso di più rispetto a quello che ha dato negli ultimi 20 anni. In 20 anni ogni italiano ha fatto più prodotto pro capite per 9 punti, eppure se andiamo a vedere il reddito pro capite gli italiani rispetto a 20 anni fa sono al -4%. Allora di quei 13 punti di differenza che mancano agli italiani rispetto al prodotto la verità è che più di 11 se l'è preso lo Stato per finanziare una spesa corrente che non ha eguali con una pressione fiscale che non ha eguali e con un debito pubblico che non ha eguali".

La sua è una tesi quasi controcorrente...
"So che è impopolare perché nella crisi la gente tende a credere che la risposta sia lo Stato, da noi lo Stato è il problema".

Sul web corre voce di una sua candidatura alle primarie. La conferma?
"Ma di chi? No. Io tenterò di dar voce a questa parte dell'Italia che sento molto preoccupata e sfiduciata, Mi riferisco all'impresa del lavoro. Siamo l'unico paese tra quelli eurodeboli che devono correggere la finanza pubblica che ha un aggravio dell'80% di tasse su coloro che già ne pagavano a livelli record. Quella parte di Italia lì mi preoccupa perché c'è il rischio che resti senza voce".

La sua ricetta contro la crisi?
"La risposta è che al debito pubblico si risponda con gli attigui patrimoniali dello Stato, cedendo quelli e ce ne sono per molte decine di Pil e poi la spesa corrente ha 7-8 punti cioè sino a 100 milardi che in tre anni si possono eliminare senza conseguenze recessive perché bisogna diminuire del corrispettivo le tasse".

Che idea si è fatta del fenomeno dei suicidi, a cui i giornali hanno dato molto spazio?
"Il caso dei suicidi è presente perché è lo Stato che chiede di più. Quello che servirebbe è un apparato tributario capace di distinguere. Un conto sono gli evasori da accertare e perseguire. Altro conto sono milioni di italiani che dichiarano esplicitamente di non farcela a fronteggiare l'accresciuta pretesa dello Stato. Purtroppo il nostro apparato tributario ha norme che non gli consentono di distinguere e che lo rendono autolesionista perché porta alla chiusura di imprese e alla disoccupazione: cioè a perdere gettito. Lo Stato ha praticamente sempre ragione ed è un principio di barbarie perché vuol dire che siamo diventati sudditi e non cittadini".

In questo ciclo di interviste, noi chiediamo un personale percorso di letture per uscire dalla crisi o quanto meno per scorgere un barlume di speranza per uscire dal tunnel. Lei cosa consiglia?
"Suggerisco di rileggere Einaudi, è un classico dimenticato dalle università e nel dibattito pubblico. Le edizioni scritte nel 44' e 45' sono una biblioteca di buon senso per la politica economica italiana. Poi l'istant book "Sudditi", in cui da Nicola Rossi a Natale D'Amico documentano come si tratti di spezzare questa catena che ci ha fatto introiettare questo atteggiamento di soggezione nei confronti dello Stato.

Infine consiglerei una lettura valoriale perché io sono fiducioso che l'Italia ce la faccia. C'è una grande parabola di come attraverso la povertà e la miseria umana si possa ascendere. E' I Miserabili Victor Hugo".

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