Osteria numero uno: altro che stellati o etnici, il vero lusso è la trattoria

Sono appena uscite le guide di Slow Food e del Gambero Rosso per orientarsi tra i migliori locali d'Italia all'insegna della tradizione

Osteria numero uno: altro che stellati o etnici, il vero lusso è la trattoria

L'Italia è un paese di osti: non lo diciamo noi o gli interessati. La frase è di Gualtiero Marchesi, che non a caso firmò' la sua prima impresa culinaria nella trasformazione della trattoria di famiglia interna all'albergo milanese Mercato in un locale dove si rivisitavano i classici (nulla s'inventa, in cucina) per la gioia degli habituès del centro storico ma anche di artisti e vip di passaggio. Mezzo secolo dopo, l'osteria tiene botta anche se è arrivata l'onda etnica che solo ora sta uscendo dal concetto tanto cibo a poco prezzo e la chef-mania ha rischiato di farla diventare serie B. Invece è successo l'opposto: l'alta cucina è rimasta terreno per pochi, pochissimi clienti e proprio i grandi cuochi si sono piegati, in gran parte, al concetto: è tutto un fiorire di «trattoria di lusso» e «osteria moderna» tanto per citare due tipologie a caso. Non si può definire un ritorno, ma il consolidamento di una cultura gastronomica molto localistica, sin troppo in qualche caso che rappresenta il know-how di tutti i nostri cuochi (pure i big) e conquista gli stranieri. Probabilmente continua a bloccare la nascita di una vera cucina nazionale (esportabile) ma al tempo stesso rappresenta l'espressione migliore di quello che siamo a tavola, come appassionati e come addetti ai lavori Il pericolo, ovviamente, è la falsa osteria in città come in campagna ed è qui che oltre all'eterno passaparola entra in gioco la capacità di selezionare tra migliaia e migliaia di posti. In questo senso è meritorio il lavoro che fanno due guide. La prima (vedi box) specializzata Osterie d'Italia, edita da Slow Food e la seconda quale Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso che assegna ai locali migliori i Tre Gamberi, riconoscimento prestigioso quanto la Chiocciola nell'altro caso. Dalle scelte, si può tracciare la differenza fra un'osteria (o una trattoria) e un ristorante.

In primis, il fatto che la tavola della prima sia anche un luogo di socializzazione: in fondo ci si andava per fare quattro chiacchiere intorno ad un bicchiere (due, tre) di vino. Poi un'osteria deve parlare dentro i confini di una determinata area geografica: può scegliere linguaggi diversi per farlo, ma di sicuro la relazione con il territorio e i suoi prodotti non è una variabile. E infine deve mettere a proprio agio, non ha sovrastrutture, accoglie il «viandante» e propone piatti a un prezzo sostenibile.

A questo punto, la filosofia lascia il passo alle segnalazioni utili. Citiamo prima i Tre Gamberi: Consorzio a Torino, La Brinca a Ne (GE), La Madia a Brione (BS), Caffè la Crepa a Isola Dovarese (CR), Osteria del Treno a Milano, Osteria della Villetta a Palazzolo sull'Oglio (BS), Pretzhof a Val di Vizze (BZ), AI Cacciatori a Cavasso Nuovo (PN), All'Osteria Bottega a Bologna, Antica Osteria del Mirasole a S. Giovanni in Persiceto (BO), Il Capanno a Spoleto (PG), Sora Maria e Arcangelo a Roma, Vecchia Marina a Roseto degli Abruzzi (TE), Antichi Sapori ad Andria (BT), La Locandiera a Beralda (MT), Tischi Toschi a Taormina (ME).

Quanto alla guida di Slow Food, sempre più attenta al «particulare» dei locali, ecco i migliori: Agra Mater a Colmurano (MC) per la selezione di birra artigianale; Antiche Sere a Torino per la cucina di recupero; La Madonnetta di Marostica (VI) per il «mangiar bene al prezzo giusto» (e quindi, teoricamente, è la miglior osteria d'Italia, no?); Ai Due Platani di Coloreto (PR) per la pasta fresca; Osteria Pavesi a Podenzano (PC) per la carta dei vini; Lilith Masseria Copertini, Vernole (LC) come novità dell'anno; Devetak, Savogna d'Isonzo (GO) per la selezione di drink e distillati; Lo Stuzzichino, Massa Lubrense (NA) per la carta dei dolci tradizionali e innovativi. Osterie forever. Insomma.

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