Al Padiglione Italia uno Sgarbi-Warhol

Ipertrofico tutto: elenco, cartellone, curatore, conferenza stampa (andrebbe abbandonata l’abitudine italiana di far parlare numerosi politici e funzionari che sottraggono tempo a cose ben più interessanti). L’ambizione è realizzare la «grande impresa», il progetto espositivo più monumentale e atipico mai visto. Se tutto funzionerà, «L’arte non è cosa nostra» potrebbe aprire un fronte nuovo nella disciplina di fare mostre. Il rischio è non riuscire a gestire tutto l’incredibile materiale umano e artistico che Vittorio Sgarbi ha voluto attorno a sé. Occorre mano ferma e predisposizione teatrale per immaginare cosa accadrà all’Arsenale di Venezia in giugno. Probabilmente il caos, ma un caos creativo, fervido, visionario, assurdo e utopistico.
Difficile capire, dalla conferenza stampa tenutasi ieri al San Michele a Roma, cosa sarà esattamente il «Padiglione Italia» 2011 firmato dal critico ferrarese proprio nell’anno del 150º. Bisognerebbe non avere pregiudizi, nel bene e nel male: troppo aspre le partigianerie pro e contro Sgarbi, tra chi lo loda come intellettuale di prestigio e chi lo ritiene poco informato sui fenomeni contemporanei. Intanto però, un indubbio merito lo incassa: aver riportato (o forse addirittura portato per la prima volta) l’arte italiana al centro di un dibattito culturale ampio e reale: c’è da chiedersi infatti perché su un libro come Gomorra, su film come Habemus Papam, sull’architettura, persino sulla musica, il pubblico senta il dovere di esprimere un’opinione e di intervenire, mentre l’arte risulta ancora un linguaggio per pochi, chiuso, asfittico e stitico. Certo, l’elevata esposizione mediatica, televisiva in particolare, del personaggio Sgarbi aiuta, ma non basta a spiegare l’approccio davvero oltre le righe, inclusivo e non esclusivo, che non tiene conto delle gerarchie imposte da pochi (presunti) esperti. Sgarbi dice di voler far «saltare il mercato dell’arte» proponendone in realtà uno diverso, aperto, democratico e senza filtri. Sentendolo parlare, ieri, tra una polemica e un volo pindarico, mi è venuta in mente l’epigrafe warholiana dei 15 minuti di celebrità garantiti a chiunque. Ecco, una Biennale del genere avrebbe potuto pensarla solo Andy Warhol, con tante star e starlette accanto all’unica vera superstar, il guru pop di cui non a caso si continua a discutere.
In tutte le altre edizioni del Padiglione Italia la pubblicazione della lista rappresentava il momento clou. Qui salta, perché è lo stesso curatore ad avvertire, in cartella stampa, che sono possibili variazioni fino all’ultimo momento, e magari anche a lavori iniziati. Più curiosi, semmai, sono gli abbinamenti artisti-intellettuali che ricordano un po’ il sistema delle strane coppie al Festival di Sanremo. Così sappiamo che a Giorgio Albertazzi, decano tra i segnalatori, piace il misconosciuto pittore Lorenzo Fonda, mentre lo storico francese Marc Fumaroli, non esperto d’arte, amava Leonardo Cremonini, unico pittore defunto incluso nella mostra. Lo storico della fotografia Italo Zannier, che è stato professore di Sgarbi, ha suggerito diversi nomi, alcuni molto buoni come Olivo Barbieri, Antonio Biasucci e Luca Patella. Sorprese dell’ultima ora, vero e proprio coniglio estratto dal cappello che ha fatto «saltare» gli scommettitori, sono gli inviti di Vanessa Beecroft, Carla Accardi e Sandro Chia. Né è mancato il colpo di teatro verso l’antico: Sgarbi ha promesso di esporre un lavoro inedito di Piero della Francesca, forse in sostituzione dell’iniziale idea di portare a Venezia il Cristo morto del Mantegna, e certamente per rispondere a Bice Curiger che inizia il suo show con il Tintoretto.
Il corollario degli oltre duecento artisti che tra poco invaderanno l’Arsenale è rappresentato dalle «biennali regionali» che SuperSgarbi ha cocciutamente voluto nei principali capoluoghi del Paese. Importante non tanto la vasta ricognizione territoriale, quanto l’iniezione di nuove energie in un sistema troppo frettolosamente dato per morto. Se poi si aggiunge il coinvolgimento delle Accademie, il progetto prende addirittura una piega «formativa» per i giovani «candidati all’artisticità» (avrebbe detto il maestro Longhi). L’uomo avrà certo un ego smisurato, ma almeno pari alla sua generosità: questo andrebbe spiegato a chi lo contesta.


Resta invece ancora irrisolta la questione dei palazzi veneziani che Sgarbi aveva pensato di utilizzare per eventi collaterali nei mesi della sua permanenza da sovrintendente. Speriamo che almeno i più curiosi si facciano (le personali di Cucchi, Hockney e Lodola; la collezione di Elton John).

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