Pakistan, strage alla vigilia del voto

Un kamikaze fa esplodere un’autobomba contro un raduno del partito della defunta Benazir Bhutto: almeno 40 i morti

Bomba dopo bomba il Pakistan arriverà forse al voto. Ma sarà un voto bagnato di sangue, carico di fantasmi e di incertezze. L'ultima, spietata strage segna anche il giorno finale della campagna elettorale. A Parachinar, principale centro di quelle turbolenti Province nordoccidentali addossate al confine afghano, un auto imbottita di esplosivo e guidata dal solito kamikaze piomba su un gruppo di militanti del Partito del Popolo Pakistano ed esplode in mezzo alla folla, la trasforma in una distesa di dolore e corpi smembrati.
Il bilancio è come sempre devastante. In quell'inferno di fuoco, urla e dolore i soccorritori raccolgono 40 cadaveri, i barellieri delle ambulanze caricano 110 feriti, molti dei quali in condizioni disperate. La vittima designata, il candidato Syed Riaz Hussain, portabandiera del partito della defunta Benazir Bhutto nella zona, sopravvive per un soffio. Ma quell'attentato, quella nuova strage è un segno di come Al Qaida e lo schieramento integralista non siano disposti a concedere tregua. Soprattutto non in queste zone dove vette, passi e montagne proteggono le roccaforti dei talebani e i quartieri generali dell'organizzazione di Osama Bin Laden.
In queste condizioni pochi si illudono che la fine della campagna elettorale, terminata ufficialmente ieri sera, possa riportare la calma nel Paese. L'incertezza del risultato elettorale minaccia di rendere ancora più esplosiva la situazione. Gli ultimi sondaggi pronosticano una possibile vittoria dell'opposizione e di quel Partito del Popolo Pakistano reso ancora più forte e più battagliero dalla morte di Benazir Bhutto. Certo i sondaggi, in Pakistan, valgono quel che valgono, ma molti si chiedono se Pervez Musharraf sia disposto, in caso di sconfitta, ad accettare il risultato delle urne. Un’ipotetica sconfitta non nasconde solamente la minaccia di un'erosione del suo potere presidenziale, ma anche il rischio di un procedimento d'accusa da parte del nuovo Parlamento. Se il Partito Popolare e quello di Nawaz Sharif, l'ex premier fatto arrestare e costretto all'esilio da Musharraf, riuscissero a raccogliere una maggioranza vicina a due terzi il Presidente dovrebbe fare i conti con la minaccia di una procedura d'impeachment. Per evitare questo rischio, sostiene l'opposizione, il presidente e i militari avrebbero già provveduto a organizzare una serie di brogli elettorali in grado di capovolgere il risultato e garantire a Musharraf il controllo del Parlamento. «Statene certi, avremo un governo stabile ed eletto democraticamente... grazie a quel governo saremo in grado di portare avanti la lotta al terrorismo e all'estremismo», ha garantito il Presidente in un discorso a diplomatici e funzionari governativi trasmesso in diretta tv. A quelle certezze e a quelle promesse in diretta televisiva ha subito risposto il rivale Nawaz Sharif. «Tutti sanno che le elezioni saranno truccate: stiamo andando al voto - ha sottolineato l'ex premier - in un'atmosfera di paura, minaccia e con lo spettro dei brogli».
Kanwar Dilshad, numero due della commissione elettorale incaricata di vigilare sul processo elettorale che si apre domani mattina, giura invece che tutto si svolgerà regolarmente.

«Noi vigiliamo con la massima neutralità e offrendo a tutti i candidati lo stesso livello di competitività, siamo sicuri di riuscire a garantire un voto libero, trasparente e pacifico». Certezze che suonano come un'utopia per un Paese dove Benazir Bhutto, simbolo e principale candidato dell'opposizione, è caduta trucidata in un attentato.

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