Daniele Colombo
Non c'è San Biagio senza panettone, come insegna la tradizione. Ma la ricorrenza di quest'anno è del tutto particolare. Al santo, immaginiamo, poco interesseranno disquisizioni d'eccellenza, visto che è ricordato per la «modestia esemplare» e festeggiato con l'assaggio di qualche fetta del classico dolce «avanzato» da Natale. Ma la legge è legge. E da oggi, primo febbraio, in base al decreto del 22 luglio 2005 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del primo agosto, la denominazione «panettone» verrà riservata al prodotto dolciario che rispetta determinate caratteristiche, qualità e quantità degli ingredienti. Un provvedimento che l'associazione Altroconsumo aveva auspicato potesse diventare operativo un po' prima e non «a feste finite».
Il nuovo regolamento prevede, in particolare, la presenza di burro per almeno il 16 per cento, uvetta e scorze di agrumi canditi in quantità non inferiore al 20 per cento (ma possono anche non esserci, purché sia indicato nella denominazione di vendita), lievito naturale, uova di gallina di categoria A e /o tuorlo d'uovo per non meno del 4 per cento. «Ben venga una legge rispetto all'inesistente di prima - rileva il noto gourmet Edoardo Raspelli, conduttore di «Melaverde» e garante della rivista Buffet -. Punto qualificante è l'alta percentuale prevista di uvetta e canditi, che costano tantissimo, e anche quella del burro. Peccato che, come al solito, non si dica tutto sulla tracciabilità di un prodotto. Non si specifica, per esempio, se le uova debbano essere fresche o surgelate».
Milano, patria del tradizionale dolce le cui origini si perdono nella notte dei tempi ma che sono inequivocabilmente legate al pane (il pan de ton), fa comunque eccezione. Dal 2003, infatti, vanta un marchio di qualità depositato all'ufficio brevetti della Camera di Commercio e omologato come Panettone Tipico della Tradizione Artigiana Milanese. È utilizzato, per rimanere all'ambito cittadino, da circa una cinquantina tra pasticcerie e panetterie (poco più di un centinaio, considerando anche la provincia).
«Si tratta di un prodotto artigianale - rileva Sergio Garbagnati titolare della omonima pasticceria di via Victor Hugo, locale «storico» fondato nel 1937 - che rispetto a quello industriale garantisce alta qualità. Per esempio, non ammette l'uso di conservanti. Per mantenerne la fragranza, inoltre, non può essere venduto più di trenta giorni dopo la produzione. Il costo? Al chilo si vende dai 9 ai 17 euro. Non so come facciano a vendere quello industriale a un costo inferiore al prezzo del pane».
Il legame tra la festa di San Biagio, il 3 febbraio, e il classico dolce si fonda sulla tradizione della protezione della gola attribuita al vescovo mitrato, martire nel 316. Leggenda che sarebbe originata da una prodigiosa guarigione di un bambino che stava soffocando a causa di una lisca. «El panatton de San Bias el benediss la gola e 'l nas», dice un adagio popolare. «E nel dì di San Bias - racconta il cronista Raffaello Barbiera - in Milano 1881 i buoni milanesi vanno in chiesa a baciare le candele benedette e, fuori, benedicono la propria gola col panattone, preferibilmente avanzato dal giorno di Natale, innaffiandolo però col vino».
Storie e racconti come questi si potevano leggere nella interessante mostra bibliografica inaugurata il 2 dicembre scorso alla Biblioteca Comunale Sormani (Il pane grande di Milano. Storia e storie del panettone), realizzata in collaborazione con l'Associazione Panificatori di Milano. Mostra che purtroppo è stata inaspettatamente chiusa a causa del furto di alcuni manoscritti, messi a disposizione dalla pasticceria Cova. Una bella fetta di storia della città che ha preso il volo!
Chiudiamo con qualche piccola curiosità sul Santo. Una piccola cittadina lucana, Maratea, sostiene di possederne da più di dodici secoli le reliquie. Anche se - come scriveva lo studioso Alfredo Cattabiani in Santi d'Italia - «vi sono sparse per l'Europa quatto teste, otto braccia e decine di dita, denti e piedi».
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