Paralizzato dopo il concerto rock «Avevo fumato uno spinello»

da Desio (Milano)

Trascorre una serata ad ascoltare un concerto rock, poi a letto. Domenica mattina, è il 27 di maggio, non riesce a reggersi sulle gambe. Chiama il padre. L’uomo intuisce la gravità della situazione. Il ragazzo, 17 anni, di Muggiò, non riesce più a stare in piedi. Un’ambulanza porta il giovane studente all’ospedale di Desio. Nel referto i medici parlano di una paralisi diffusa e di «presunta assunzione di stupefacenti con altro». Poche parole. Bastano per chiamare i carabinieri. Al reparto neurologia arrivano gli uomini del capitano Vincenzo Barbato: sentono il ragazzo e inoltrano l’informativa alla Procura di Monza, parlando di tracce di «hashish potenziato».
I sanitari, il 7 giugno, decidono di inviarlo a Niguarda, dove si trova ricoverato nel reparto di unità spinale. Gli accertamenti diagnostici dicono una cosa: il giovane risulta positivo al test Thc (tetra hidro cannabinolo). Vuol dire, che nei polmoni gli hanno trovato la conferma del fatto che si è fumato uno spinello. È la causa del dramma che rischia di inchiodare per sempre lo studente su una sedia a rotelle? Difficile stabilirlo. A Desio i medici prendono in seria considerazione l’ipotesi, al Niguarda i sanitari sono più scettici. Di certo è un caso clinico complesso. Il ragazzo, lo chiameremo Marco, fino a sabato sera, quando è uscito da casa per passare una notte tra la musica assordante che sparano gli altoparlanti, quella dei Rolling Stones, quella che ti spacca i timpani e le luci psichedeliche, quelle da far girare la testa, non aveva problemi. Stava bene, un giovane di ottima famiglia, faccia pulita, un nome che non dice nulla ai carabinieri. La madre casalinga, il padre stimato professionista, che ora dice: «Mio figlio è un bravo ragazzo, non ha mai dato problemi. Parlo tutti i giorni con i medici che lo stanno curando e nessuno di loro ha mai accennato al fatto che la malattia sia da mettere in relazione all’assunzione di sostanze stupefacenti. Sono illazioni affrettate e senza alcun fondamento che si possa rilevare dal quadro clinico del mio ragazzo. Dico a gran voce che mio figlio non è un drogato, piuttosto potrebbe maturare il sospetto che siamo di fronte a un’affezione congenita, una malattia ereditaria».
Quella sera Marco, è in batteria, tira una canna, magari solo pochi tiri, come dice agli inquirenti. Forse butta giù troppo alcol: ragazzate per rincorrere un divertimento sfrenato e un’illusoria distrazione. Chissà. Certo il concerto è di quelli forti, vigorosi. Come li definiscono i giovani del genere heavy metal. Roba tosta insomma, di quella che ti fa scambiare la realtà con la fantasia, e ti lascia credere di essere in un videogame o in un film. Marco si lascia trascinare dall’evento: c’è tutta l’atmosfera per «sballare». I mitici Rolling che suonano, le belle ragazzine che ballano si tirano i capelli, sono rapite dall’isterismo. Giù una birra, poi ecco la canna, avanti con un’altra birrazza. L’organismo assimila e vacilla. Poi ti presenta il prezzo. Salatissimo. Il giovane si mette a pogare, è il ballo dove ti urti i fianchi con quello che hai vicino nella calca. Si scatena. Magari anche questo si somma alla causa che provoca la tragedia.

Qualcuno, sostiene che sollevava pesi, ed ecco un altro particolare che gli specialisti della medicina tengono in considerazione. Le condizioni di Marco, migliorano un po’, riesce a muovere meglio le mani. Il quadro clinico, resta serio. Ma oggi è solo il giorno delle lacrime.

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