![La politica pavida sul fine vita](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2023/12/22/1703228129-camera-dei-deputati.jpg?_=1703228129)
Una legge sul suicidio assistito, intesa come legge che si dovrebbe fare ma che non viene fatta, in Italia semplicemente non si vuole farla. È una legge che la nostra classe dirigente, «nostra» in senso ampio, oseremmo dire «storico», non ha il coraggio di fare, e spiace che coraggio sia proprio la parola giusta: non si parla tanto, quindi, dell’attuale classe dirigente, o delle precedenti classi dirigenti, della destra o della sinistra, ma della «nostra» classe dirigente intesa come categoria storica e sociologica, la stessa classe dirigente che non a caso non ha mai direttamente legiferato, a ben pensarci, su nessun tema etico e dintorni senza che ci fosse qualche talentuoso pazzoide coi suoi referendum (state pensando tutti a Marco Pannella) a forzare la mano a un Parlamento che, una legislatura dopo l’altra, non ha mai voluto mettere le mani per esempio sulla morte assistita. Nessuno vuol restare col cerino in mano, nessuno vuol essere proprio lui a doversi occupare di questa cosa o di altre che grossolanamente chiamiamo «questioni etiche».
Il paradosso della legge sul suicidio assistito (legge che non c’è) è che gli attori di questa ennesima legge non fatta, negli ultimi decenni, sono profondamente cambiati, hanno cambiato pelle: ma a non averlo fatto è la nostra classe politica. Un tempo si diceva che il popolo italiano non fosse maturo per questo o quel provvedimento, ma si parlava a caso: oggi infiniti sondaggi su certi nodi (in generale sul fine vita) paiono dimostrare che gli elettori siano molto più avanti degli eletti che ne temono le reazioni, questo lasciando da parte la baggianata che possa essere «il Vaticano» a impedire questo e quello. È la nostra classe dirigente che non muove foglia, che non ha il coraggio: e basta. Ora non è (più) l’avanguardia dei soliti radicali o dell’Associazione Luca Coscioni a chiedere che il Parlamento faccia il proprio lavoro: è la Corte Costituzionale dalla bellezza di sei anni, e parliamo del massimo organo di garanzia e di controllo sul rispetto e la compatibilità dei principi contenuti nella Costituzione. Sei anni col governo Conte uno, governo Conte due, governo Draghi e infine governo Meloni: nessuno che abbia mai nemmeno lontanamente pensato di raccogliere il dettato della Consulta e il parere, se non disturba, di tutti quegli italiani che coi problemi della vita e della morte fanno i conti ogni giorno. Ogni tanto scoppia qualche dibattito da talk show, la mia vita è mia, no, è dello Stato, no, è di nostro Signore, ma sono bizantinismi italici fattivamente ignorati da chi certe questioni preferisce lasciarle nell'ombra, appunto discuterne e basta, lasciando dolosamente scoperti degli spazi di cui la magistratura è poi costretta a occuparsi secondo l’uzzolo del giudice di turno. Si dice: ma l’Italia non è il Belgio, il Lussemburgo, la Germania o l’Austria, paesi che hanno fatto certe leggi e che hanno un’altra cultura.
Ma che significa? Quale cultura? Anche Spagna e Portogallo hanno un’altra cultura? In Italia discutiamo di principi ma non facciamo le leggi, all'estero invece guardano alla vita reale e fanno leggi che cercano di regolarsi alla meno peggio, senza pretendere di rispondere ai grandi quesiti della vita.
Questo mentre tanti giornalisti e intellettuali, che per mestiere dovrebbero pungolare la classe dirigente, con la loro acquiescenza si illudono di farne parte. E questo mentre una sterminata quantità di cittadini, di medici e di personale sanitario, ogni santissimo giorno, provvede da sé. Si fa ma non si dice. Italia, 2025.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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