Il partito di Fini? Sarà colorato di grigio

Molte tinte occupate o sconvenienti: il verde è della Lega, il nero ricorda il fascismo e l’azzurro se l’è preso il Cav. Anche sul nome si brancola nel buio. "Della Nazione" è troppo vintage. Ci vorrebbe qualcosa di libertario, tipo radicali. Ma Pannella non vende...

Il partito di Fini? Sarà colorato di grigio

Il partito sulla carta c’è. È una suggestione, una tentazione, una possibilità. Ma si farà. Qualcuno dice che dipende dal voto: se il Pdl inciampa e la Polverini s’inabissa allora bye bye. Un altro sostiene che ormai è inevitabile. Gli intimi smentiscono, i meno intimi sussurrano, gli informati te lo raccontano, tutti gli altri ne parlano. Ma solo una cosa è certa: le elezioni sono uno spartiacque. Come dice un ex senatore di An: il partito di Fini è qui davanti a noi. Basta immaginarlo. Eccolo, in chiaroscuro.
Il primo problema è il colore. Non è che ce ne siano tanti liberi in circolazione. Il rosso? Occupato da almeno due secoli. Il nero? Anarchico o fascista e poi Gianfranco ha già dato. L’azzurro è di Berlusconi. Il blu confonde. Il verde se l’è preso la Lega, il bianco è della Dc e dei suoi balenotteri, il viola è giacobino, l’arcobaleno è pacifista, il tricolore va bene con la nazione ma sa troppo di Forza Italia, il marrone ricorda le camice brune, l’arancione è riformista, ucraini e Hare Krishna, il giallo è degli immigrati (e quasi quasi potrebbe andare bene). Niente mezze tinte, un partito non può andare in giro con i colori pastello, indaco, lilla o cose così. Gli elettori non capirebbero. Che resta? Resta il grigio. Magari un grigio progresso, metallico, quasi argento. Ma un grigio. Poi sopra ci puoi anche mettere la cravatta gialla. Grigio Fini. Grigio giacca di Fini. Grigio sopra con i blue jeans sotto, nel weekend.
Sul nome bisogna lavorarci. Il partito della nazione non va bene. Sa di vintage. E poi lo ha tirato in ballo Casini quando pensava di fare il comitato di liberazione nazionale. Troppo antiberlusconiano. Servirebbe qualcosa di liberista, liberale e libertario. Ma quanto si fa pagare Pannella per il partito radicale? Non è in vendita. Il vecchio Marco, al massimo, ti cede un franchising, ma poi comanda lui. Tutto il resto è serio. Idee, uomini e identità. Il partito ha un leader e su questo non ci sono dubbi. Fini a casa sua sarà padre e padrone. Quando dice che non ha bisogno di un nuovo partito perché ce l’aveva già non bisogna credergli fino in fondo. An non era più il suo partito. Non lo sentiva come suo. Non ci si riconosceva. Fine di un amore. E certe storie non puoi tirarle avanti sperando di cambiare qualcosa. Troppo compromesse. La verità l’ha detta Granata a Micromega intervistato da Camilleri. Quel partito aveva già perso la sua identità. Si era berlusconizzato. Gasparri, La Russa, Matteoli, e via via gli altri: tutti berlusconizzati. Gli elettori? Pure. A quel punto tanto vale fondare il Pdl con lui, con Berlusconi. Aspetti, speri, poi ti scocci, litighi, non ci stai più, non ti convince più, non ti ci vedi più e pensi ad altro, al futuro. Cominci a pensare a un nuovo partito e sorridi. Ovunque vai, qualsiasi cosa fai, non ci sono santi: quelli, i colonnelli, non te li porti appresso. Il futuro riparte con Bocchino, Urso, Granata, la Perina e Della Vedova come fuori quota. Alemanno non lo vorrebbe, ma non ne può fare a meno. Quello ha i voti di Roma e le porte aperte in Vaticano. Il resto è quasi una zavorra.
La scommessa è sul dopo Berlusconi. È lontano, ma Fini vuole prepararsi. Senza Cavaliere il sistema politico italiano impazzisce. La sinistra si ritrova nuda, la destra senza sole. A quel punto Fini con la sua scialuppa indica un punto fermo da cui ricominciare. Chissà se funziona. Se deve scegliersi un alleato è pronto Casini. Due cuori e due partiti. Poi un sistema istituzionale alla francese aggiusta tutto. In cambio si becca la simpatia di Caltagirone.
Sulle idee no problem. È tutto scritto. La battaglia d’inverno sapeva di bioetica e cittadinanza. La laicità come bussola, la società multietnica come sestante, Balotelli sulla sinistra, Almodovar sulla destra. Quella di primavera è molto più ambiziosa. Riforma del welfare, riforma della previdenza, riforma del mercato del lavoro, riforma fiscale, riforma del diritto di famiglia, riforma delle istituzioni. I giovani e la famiglia come soggetti sociali di riferimento. Se sono furbi punteranno sul popolo delle partite Iva, artigiani e commercianti, ma è un partito forse troppo snob per parlare con i meccanici. E poi i voti romani stanno al ministero.
Fini si è guardato intorno in questi anni. È stato spesso all’estero. Dialoga con Aznar, va a cena con quelli della fondazione Adenauer, si sente spesso con Nancy Pelosi, che gli sta aprendo contatti interessanti laggiù in America, e invidia Sarkozy. Il francese fa le roi su una destra senza caporioni e pacchetti di voti, senza Cosentini, senza residui da ancienne république. Sarkozy ha l’Ena, una scuola d’élite che sforna dirigenti pubblici e politici di professione. Gianfranco vuole un partito così. Un partito di professori e trentenni in carriera. E se l’amico Montezemolo lascia la Fiat magari si può fare qualcosa insieme, con Farefuturo, con il mondo che conta, con le nuove generazione che arrivano dalla Luiss o dalla Bocconi, con un esercito di politologi ed economisti. Ragazzi che quando s’indignano dicono: queste cose in Francia non succedono.

E nello zaino un bignami con le citazioni di Hannah Arendt e Zygmunt Bauman, Hayek e Berlin, Koestler e Fourier, Scuton e Beck, Lazar e Furet, Gluksmann e Renan. Tutte scelte, digerite e rimpastate da Alessandro Campi in persona. Fini e gli altri dovranno leggere e rileggere tutto. È il futuro, bellezza. Altro che saluti romani.

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