Il passo del gambero

Sarà anche vero che Prodi ha la testa più dura di Zidane. Lo ha scritto ieri Eugenio Scalfari, che lo conosce bene: si può dunque fargli credito. Si tratta di vedere a quale scopo e in quale modo si esplichi la testardaggine che il fondatore di Repubblica attribuisce al presidente del Consiglio ritenendola evidentemente una virtù e non un vizio.
Cocciuto nel rimanere attaccato alla sua poltrona che tanto sicura non sembra? Onore al merito: in questo Prodi eccelle. Cocciuto nello svilire e smantellare ogni decisione e iniziativa che sia stata adottata o proposta nella precedente legislatura, dal centrodestra, poco curandosi degli sfracelli che ne possono derivare? Anche qui un bel voto, almeno un «otto più». Ma è sufficiente questo per sostenere - cito Scalfari - che Prodi non è «rassegnato a galleggiare come un re Travicello lasciando la barca al furore delle onde, senza timoniere o addirittura senza timone?».
Saremo anche arcigni: ma crediamo che ci vorrebbe ben altro per promuovere il premier. Chiunque fa bella figura parlando male dell’opposizione. Questa è routine partitica, anche un po’ meschina. Zidane ha la testa dura, ma come calciatore faceva faville. Assai diverso in questo da Prodi, che ha sì la testa dura ma come politico - a parere di tanti - non va mai in gol.
Nelle cose serie il suo è tutto un procedere avanti piano quasi indietro, come i vaporetti veneziani. Sui Pacs il governo è alla deriva, un ministro e non degli ultimi annuncia che voterà contro, per cercare una soluzione il premier convoca un vertice - definiamolo pure così, generosamente - con due signore ministro, in vista di una successiva mediazione e di possibili compromessi nel primo consiglio prossimo venturo. Le liberalizzazioni di Bersani, osannate come se dovessero sconvolgere il panorama economico e sociale, si limitano a variarne qualche tratto marginale. Altri sono i temi seri, conflittuali, scottanti. Ma Bersani non li ha toccati.
In politica estera è tutto un sì, forse, magari no: e ogni dichiarazione perentoria viene seguita da attenuazioni, smentite, precisazioni. Il nocchiero gonfia il petto e annuncia borbottando che ci penserà lui a dirimere i contrasti della maggioranza, ma subito dopo i suoi proclami è un seguito di dichiarazioni insurrezionali di questo o quel ministro. Se gli chiedono della Tav impallidisce e farfuglia. Si erge a liberalizzatore ma esperti di buon nome vedono nel suo retropensiero propositi di resurrezione della non compianta Iri. Subisce con mugugni incomprensibili e senza un vero gesto risoluto le intemperanze e le stravaganze di alleati dell’estrema sinistra, battibeccanti con gli alleati moderati.
Fra la rivoluzione e il riformismo sembra aver scelto la soluzione del «tiriamo avanti». Che non è il «tireremo diritto» di ingrata memoria, ma che non per questo è degno d’encomio.


A che serve dunque la testa dura in versione prodiana? A propinarci un aggiornamento tardivo e cattivo della Dc di sinistra? A dar soddisfazione ai nostalgici d’utopie dirigiste demolite e seppellite dalla realtà? A fare surplace? A non riconoscere gli errori, benché certificati da una perdita di consensi catastrofica?
Domande inquietanti. Ma più inquietante d’ogni altra è quella che segue. Se Prodi è Zidane, chi è il Materazzi da mandare ko con una zuccata? Non vorremmo che fosse il Paese.

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