Verdure con forme e colori insoliti per le nostre latitudini. Basta fare due passi tra le bancarelle dei mercati rionali o dai fruttivendoli nei quartieri a più alta immigrazione per accorgersi di quanto Milano stia cambiando anche a tavola. Nulla di raffinato o esotico; si tratta di umili prodotti etnici: uninvasione di tuberi, cucurbitacee e solanacee da Filippine, Perù, Ecuador, Costarica, che a qualcuno potrebbe ricordare «Linvasione degli ultracorpi», il famoso cult-movie americano degli anni Sessanta coi suoi inquietanti «baccelloni».
La più alta concentrazione di questi prodotti si trova al mercato di piazza XXIV Maggio. Dove ci sono anche le patate filippine. Si chiamano eddoes, sembrano bulbi di giacinto e si cucinano fritte o bollite. A detta di un estroverso venditore che le espone, avrebbero un alto potere energetico abbinato a discrete proprietà afrodisiache. Vero o falso, il loro prezzo è di 3 euro al chilo. Lapparenza inganna anche davanti a tre cassette di camote, ortaggi oblunghi dal colore viola. Assomigliano a melanzane. Invece sono i farinacei più zuccherini esistenti in natura. Vengono anchessi dalle Filippine dove per secoli sono stati lalimento principale delle popolazioni indigene. Ma a Milano il loro prezzo non è così popolare: 6 euro al chilo. Da Manila sbarca al Ticinese pure la ampalaya, una via di mezzo tra la zucchina e il cetriolo. È una verdura amara, simile alla nostra scorzonera, che gli asiatici mangiano bollita. Avrebbe benefici effetti sulla pressione arteriosa ma non sul portafogli perché costa 6 euro al chilo.
Nella cassetta accanto c'è un allineamento di piccoli ortaggi verdi e rossi somiglianti a zucchine provenienti da Thailandia, Messico e Africa Nord-occidentale. Si chiamano okra, appartengono alla famiglia delle malvacee e sono soprannominate «asparagi dei poveri» per il caratteristico sapore. La okra è molto versatile: si cucina saltata in padella col pomodoro e la cipolla o fritta per accompagnare piatti di carne. Costa attorno agli 8 euro al chilo.
Altre bancarelle, altri ortaggi. Alcuni sembrano pomodori di un insolito colore arancio. In realtà sono una grossa variante cilena e boliviana del nostro peperoncino. Si chiamano aji amarillos e il loro gusto piccante è proporzionale alle loro dimensioni. Prezzo: 6 euro al chilo. «Ma il peperoncino più piccante in assoluto - svela Giuseppe Alessandro Colangelo, da 13 anni fruttivendolo in XXIV Maggio - è il pepe fresh ugandese». Costa attorno ai 15 euro al chilo e comincerebbe ad essere apprezzato anche dai milanesi più coraggiosi insieme a uno strano frutto che si chiama chirimoia, un aggeggio che a vederlo sembrerebbe un incrocio tra un carciofo e una granata. «Molti milanesi - assicura Colangelo - hanno imparato ad apprezzarlo perché ha un gusto e una consistenza che ricordano la panna cotta». E, a proposito di dolci, dai Paesi andini ai banchi del mercato milanese arriva anche il mais morado: una pannocchia nera che in Perù viene usata per fare una torta che si chiama mazamorra.
Alcuni milanesi curiosano, altri chiedono, valutano. Qualcuno compra. Come la signora di mezza età che su un espositore nota «cose» che sembrano grossi fagioli arancioni e che invece sono patate dolci peruviane. Si chiamano olluco e vengono coltivate in tutto il Sud America da almeno 5mila anni. Sono considerate alimenti dietetici - sarà vero? - per il loro basso contenuto di calorie ma costano la bellezza di 6 euro e 50 al chilo. Hanno una parente stretta: la yuca, altro farinaceo dal sapore dolciastro presente in Costarica ed Ecuador che si presenta come una grossa radice marrone e costa decisamente meno: un euro e 40 al chilo.
Un gruppo di acquirenti di carnagione olivastra è in fila per comprare enormi banane che si chiamano platàno. Si mangiano solo cotte e sono meno dolci della sorella minore della quale hanno però le stesse proprietà nutritive.
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