La patria del maggioritario vota per svoltare verso il proporzionale

Potrebbe essere il referendum della svolta, in grado di traghettare il Regno Unito verso un cambiamento storico: il passaggio dal sistema elettorale maggioritario puro al sistema proporzionale. Ma il voto che chiamerà oggi alle urne - almeno sulla carta - 46 milioni di inglesi rischia di essere ricordato come il grande flop. Un flop per la partecipazione: le previsioni dicono che gran parte degli inglesi se ne starà a casa. E un flop perché il voto sembra essersi trasformato in un referendum su Nick Clegg, il leader del partito liberaldemocratico e vicepremier di David Cameron, che rischia una sonora bocciatura.
Un anno fa, all’indomani del successo dei LibDem alle elezioni generali del 6 maggio, fu Clegg - col suo pacchetto di voti che lo incoronava kingmaker, «ago della bilancia» per la formazione di qualsiasi governo - a chiedere al leader dei Tory un referendum sul sistema proporzionale come condizione per entrare nel governo di coalizione coi conservatori. Clegg aveva raggiunto un traguardo memorabile e chiedeva una rivoluzione: la rottura col bipartitismo, la fine di un sistema spietato, il first-past-the post, dove chi vince, anche per un solo voto, prende tutto. E dove anche il partito che ottiene più voti, in una lotta uomo contro uomo, rischia però di non avere la maggioranza dei seggi. Era il sogno della maggiore rappresentanza per i liberali che da decenni tentavano di rompere il duopolio laburisti-conservatori e che dopo 70 anni erano riusciti nell’impresa. Clegg aveva convinto gli elettori, presentandosi come l’alternativa alla solita vecchia politica. Ed era convinto di poterli portare alla svolta proporzionale. L’Alternative vote, sul quale si pronunceranno oggi gli inglesi, prevede infatti che l’elettorale esprima un ordine di preferenza, 1 per il candidato preferito, 2 per la seconda scelta e così via. Se nessuno dei candidati ottiene subito almeno il 50& delle preferenze, si ripartiscono i voti del candidato che ha ottenuto meno consensi e si va avanti fino a quando qualcuno non raccoglie la maggioranza assoluta.
Ora però Clegg e il suo sogno rischiano di schiantarsi. Gli inglesi sembrano affezionati al loro sistema, che ha garantito governi stabili. Nonostante l’apertura di un dibattito sia già un traguardo in un Paese che sembrava arroccato sulla sua tradizione, compresa quella elettorale, nonostante una nuova ventata politica spiri in Gran Bretagna con l’avvento al potere dei LibDem, alla fine le forze in campo puntano agli interessi di bottega. In barba al dibattito sul sistema elettorale. Così Clegg è diventato un vaso di coccio tra vasi di ferro. I laburisti non gli hanno perdonato l’alleanza con i Conservatori e, nonostante le indicazioni del loro leader, Ed Miliband - che è a favore del Sì al proporzionale - con molta probabilità voteranno contro per vendicarsi di lui, forti del fatto che il partito è spaccato e alcuni pesi massimi del Labour, tra cui l’ex vice-premier John Prescott e l’ex leader Maragaret Beckett, sono anche loro contrari al proporzionale. I Conservatori, nonostante David Cameron abbia tentato di fare una tiepida propaganda per il No al proporzionale, non vedono l’ora di dimostrare ai Libdem - con la vittoria del No - chi davvero comanda all’interno della coalizione e puntano sulle prossime elezioni per prendersi la rivincita conquistando una maggioranza assoluta e andando al governo senza alleati scomodi. E poi ci sono i LibDem: anche gli elettori di Clegg, molti dei quali più progressisti che conservatori, potrebbero voler punire il loro leader, accusato di aver venduto l’anima al diavolo e di non aver arginato la prepotenza dei Tory.


I sondaggi dicono che il No è in vantaggio con il 66% contro il 34%. Intanto nel Paese si vota anche per il rinnovo delle amministrazioni locali. E i LibDem rischiano di perdere città importanti. Una triste parabola per il leader che vuole traghettare il Regno Unito verso la svolta.

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