Pavan minorenne terribile «In campo amo rischiare»

Andrea, 17 anni, romano, alto 1 metro e 87, dispone di un drive di 270 metri

È appena partito per il Texas dove, sfruttando una borsa di studio, frequenterà in college un corso di Economia sino a giugno. E là, in quel college, potrà migliorare la conoscenza della lingua inglese e arricchire il patrimonio scolastico accumulato al Liceo economico francese che l'ha portato al diploma l'estate scorsa. Ma c'è un «anche» importante da aggiungere: durante l'esperienza americana il ragazzo continuerà a giocare a golf confrontandosi con i giovani che negli States danno mano ai bastoni come da noi si dà piede a un pallone. Una questione di abitudine.
Andrea Pavan, nonno padovano, è nato a Roma meno di diciotto anni fa: il 27 aprile 1989. Abbiamo detto quale sia la sua determinazione quando si tratta di apprendere dai libri. Ora dobbiamo spiegare come e perché egli rappresenti la schiera delle facce nuove e promettenti del nostro golf, cui lo hanno iniziato, da bambino di 6 anni, papà Tiziano e mamma Barbara (ha una sorella, Martina, sedicenne, pure lei in una certa confidenza con il green). Il fatto è che, poco più che adolescente qual è, Andrea è un fusto elegante alto 1 metro e 87 e pesa 80 chili. Negli ambienti golfistici se ne parla da un po', e sempre con maggiore interesse, poiché ci troviamo alle prese con un campioncino (almeno pare) che, per esempio, tre mesi fa ha battuto da dilettante (handicap +3) i professionisti nel 67° Campionato nazionale Omnium e che si è piazzato quinto nel recente 43° Orange Bowl International Junior Golf Championship, il prestigioso torneo disputatosi ad Anastasia, in Florida.
E ciò che ancora colpisce è che Andrea sa raccontarsi con la lucida severità che competerebbe a un giocatore molto più maturo di quanto non certifichi la sua età. «Se prendi sul serio, come io prendo, questo sport, devi essere disposto a fare tanti sacrifici, ad impegnarti allo spasimo perché vedrai che poi otterrai grandi soddisfazioni. I modelli sono preziosi e indispensabili. Il mio è Ernie Els: il ritmo e la scioltezza di uno swing che lo conduce all'incontro magico con la palla sono da analizzare e vedere e rivedere con un'attenzione estrema».
La sua potenza? «Dispongo di un drive da 270 metri. Lo considero buono ma andando avanti debbo e voglio aumentarne la misura». Ha un colpo preferito? «Credo di avere una soddisfacente sensibilità nel gioco corto e specialmente nel putt». Un suo difetto? «Sul campo ho troppo poca paura e questo spesso mi porta a rischiare oltre il lecito. Credo dipenda non soltanto dal mio carattere ma anche dalla mia età: mi aspetta una lunga strada. E adesso, nel frattempo, allorché mi trovo in difficoltà tendo a perdere lucidità e, se sbaglio, divento eccessivamente aggressivo giusto quando non serve. Mi dico sempre: tempo al tempo. Quando, penso verso i 22 anni, passerò al professionismo, almeno qualcosa in me sarà cambiato. In meglio, spero.

Dico anzi che ne sono convinto».
Vive all'Olgiata, il suo Circolo è il Parco di Roma, Filippo del Piano è il suo maestro abituale. Ama il calcio e la palestra, gli amici, la musica e le auto. E ora, avanti con il sogno americano.

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