Il Pd ripiomba nel caos: torna l’Ulivo coi comunisti, anzi no

RomaBeata la trinariciuta fermezza del «comunista popolare» Marco Rizzo. Il quale, gettando via l’acqua sporca di un «nuovo Ulivo» assieme alla «finta politica di sinistra», propugna una «lista comunista e di classe». Unico antidoto, dice, a chi «protesta contro Marchionne» ma è pronto «ad allearsi con chi lo vezzeggia».
Il torinese Rizzo, già sodale (e poi gran accusatore) di Oliviero Diliberto, ha sposato da bambino il motto napoletano «’ccà nisciuno è fesso» raffinandolo nel corso degli anni in una buona dose di diffidenza verso tutto e tutti. Ecco perché, nella giornata delle smentite di un clamoroso accordo segreto Bersani-Ferrero-Diliberto, Rizzo ha ragione a sostenere che nelle voci insistenti trapelate su qualche giornale c’è una «mezza verità».
L’altra metà del vero, invece, potrebbe nascondersi in una singolare e tempestiva pubblicazione della notizia da parte del Corriere della Sera (tanto per dire, un suggello di autorevolezza) e del quotidiano piddino Europa, in un editoriale scritto dal suo direttore, già ultra-rutelliano, Stefano Menichini. Un patto con il «diavolo» che in prima battuta consentirebbe al leader Bersani di incassare voti comunisti alle primarie del Pd - così da battere il «comune nemico» Nichi Vendola. La pietanza forte verrebbe servita subito dopo: Ferrero, Diliberto e compagni («proprio i responsabili di due anni di Vietnam del governo Prodi», scrive Menichini) verrebbero candidati nelle liste del Pd alla Camera così da non creare problemi al Senato, e rinuncerebbero a qualsiasi accordo di governo (al massimo, un «appoggio esterno»). Una specie di «diritto di tribuna» concesso ai comunisti antagonisti di Vendola che viene però accreditato da Europa, veltroniani ed ex-ppi come una mutazione genetica del Pd di Veltroni in un Pci vecchia maniera. «Così il Pd resuscita i non-riformisti che potranno tornare a insidiarlo domani - si legge su Europa -... e lancia un messaggio: non votateci, noi stiamo bene con Diliberto. Forse un messaggio diretto anche a noi».
Tiro mancino, si sa, chiama tiro mancino. Nel partito già abbastanza male in arnese, il «fumogeno» lanciato dal giornale di casa fa più danni di quello che ha bruciacchiato il giubbino di Bonanni. Addirittura la notizia spinge alcuni facinorosi (Minniti, Tonini e Verini) a chiedere la convocazione di una Direzione nazionale prima ancora che essa esca sui due quotidiani (difatti il Corsera ne dà già conto). Si dirà: circolava da tempo. Ma alla stessa stregua circolano, tra divanetti e cortile di Montecitorio, ogni sorta di indiscrezioni e giochi di fantasia. Pochino, per farne un cavallo di battaglia. Invece ora l’incendio divampa tra le mura di Troia, e il povero capo della segreteria di Bersani, Filippo Penati, viene buttato giù dal letto per smentire. Smentite piovono da Maurizio Migliavacca (che avrebbe condotto le trattative), Ferrero, Diliberto. «La nostra linea, pubblica e nota da tempo, è quella di presentarci con nostre liste e, se possibile, raggiungere un’alleanza democratica con il Pd per cacciare Berlusconi e difendere la Costituzione», giura anche Cesare Salvi.


Cui prodest, allora, il complotto che indebolisce Bersani e getta sulle barricate gran parte dei piddini moderati? Sgambetto a Bersani o avvisaglia di prossime fuoriuscite verso il terzo polo di Rutelli-Fini-Casini? Poteri forti che spingono per una discesa in campo di Enrico Letta? Tutti i boatos hanno legittimità e pari peso. Non per questo se ne farà un dramma.

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