Il Pd per la rivoluzione si affida a Sanremo

"L’Unità" dedica al Festival nove pagine indignate per denunciare un’Italia in pericolo: attacchi a Emanuele Filiberto e timori per la Costituzione. La sinistra plaude ai suoi nuovi eroi: gli orchestrali dalla "schiena dritta" che per protesta lanciano gli spartiti

La rivoluzione è una serata di gala. È la schiena dritta dei musicanti. È il volo degli spartiti. È lo spirito di Morgan che spara sentenze dal suo esilio ai confini del crack. È la rabbia meridionale di Nino D’Angelo, che meritava un posto in paradiso, con il sound e l’organetto da vecchio brigante di Ambrogio Sparagna. È la voce e gli arabeschi di Malika Ayane.
La piazza aveva bisogno di qualcosa di cui sparlare. Artisti, bohémien e intellettuali un nome su cui sputare. Gli eterni incazzati, apocalittici, insoddisfatti qualche nota da disprezzare. Meno male, allora, che c’è Sanremo.
L’Unità, fondata da Antonio Gramsci nel 1924, dedica nove pagine di indignazione e mal di pancia anti popolare per gridare «indietro Savoia». Che schifo questa Italia, presa a calci dai talent show, insultata dalla «monarchia post moderna, ballerina, surreale e ultrakitsch, incarnata in un principe più tronista che savoiardo. Che schifo le tagliatelle di nonna Pia. Che schifo la democrazia del televoto (che per fortuna democrazia non è). Che schifo il Sanremo di destra, senza un Grillo, un Dulbecco, un Benigni o una sestina petrosa di Dante. Che schifo questo festival di mezzanotte, tutto burlesque e lato b. Perfetto. Ora la sinistra di piazza e di salotto ha un nuovo buon motivo per indignarsi e annunciare che prima o poi scapperà a Paris, da madama Sarkozy.
Sanremo è Sanremo. È lo specchio dell’Italia e ancora una volta l’Italia è in pericolo. Non ci credete? Sono solo canzonette? No, questa è una cosa quasi seria. Lo scrive Giovanni Maria Bellu, condirettore del quotidiano di Concita de Gregorio. Dice: «Lo confessiamo. Abbiamo assistito con una certa apprensione alla fase finale del Festival di Sanremo. Col timore, per dirla tutta, che un plebiscito annullasse simbolicamente il referendum istituzionale del 1946».
Dopo Berlusconi, i Savoia. Qui c’è troppa gente che vuole fare a pezzi la Costituzione. Per fortuna la sinistra ha i suoi anticorpi, i suoi resistenti, i suoi miti e i suoi martiri telegenici. Il popolo viola si è appena disperso, ma all’orizzonte c’è un nuovo eroe, un manipolo di violini e trombe che offre all’aristocrazia del buon gusto uno straccio d’identità.
C’è un’altra leggenda da narrare ai posteri: la grande battaglia degli orchestrali dalla «schiena dritta». Quelli che hanno avuto il coraggio di sfidare con gli aeroplanini di carta sua presunta maestà, erede al trono che non c’è, Emanuele Filiberto Umberto Reza Ciro René Maria un tempo di Savoia ora di Sanremo. Gli orchestrali eredi di Mazzini. Gli orchestrali borbonici e briganti. Gli orchestrali di Facebook. Gli orchestrali ultima speme. Gli orchestrali malmostosi e martiri sconfessati dalla fondazione sinfonica di Sanremo, quella che paga lo stipendio, e messi all’indice come «poco professionali». Non è che uno fa la rivoluzione con il consenso dei padroni.
Va bene. Questa sembra una novella ariostesca alla Calvino o un contropassato prossimo di Morselli, qualcosa del tipo «i musicanti che salvarono la res publica» e invece fanno sul serio, ci credono, si stracciano le vesti. Ecco Nichi Vendola: «Sono cresciuto in un paesino di provincia in cui prima c’erano tre cinema e quattro negozi, mentre oggi ci sono tre centri commerciali e nessun cinema. Siamo alla sagra della porchetta. È così che può succedere che a Sanremo arrivi il principe Filiberto. È la dimostrazione di una cultura dell’egemonia reazionaria in atto». Ecco Morgan: «Serve una veglia di vergogna pubblica. La vergogna è un sentimento positivo. È espressione del fatto di avere valori morali». Ecco Serena Dandini: «Ho adorato la ribellione degli orchestrali».


Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto. E la colpa è di una canzone che sembra una parodia di Shrek o di Cenerentola: «Stasera sono qui, per dire al mondo e al Dio, Italia amore mio».
Chi ha paura del principe ballerino?

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