La Peacock: «Sono la più moderna»

Grande show per il ritorno della mitica pianista americana. Piace la nuova veste jazz di Paola Turci con Gabriele Mirabassi

da Vignola (Modena)

Ripercorriamo gli episodi migliori della diciannovesima edizione di Jazz in'it, sebbene il festival sia stato tutto bello: dall'omaggio a Billie Holiday della voce di Silvia Schiavoni in duo con Giancarlo Schiaffini flicorno baritono, alla giovane orchestra New Union Jazz Band diretta da Marco Farri, al quartetto di Gabriele Mirabassi, straordinario con il suono magico del suo clarinetto di ebano del Mozambico.
Mirabassi va citato di nuovo per il concerto che lo ha visto protagonista, insieme con Paola Turci canto e chitarra, e con Giorgio Rossi danza e coreografie, di una performance che ha offerto sequenze di profonda suggestione. Paola Turci, vent'anni dopo il suo debutto al festival di Sanremo, può oggi affascinare il pubblico di una rassegna jazz, e non solo con interpretazioni assai personali di canzoni come Dio come ti amo, Cuccuruccucu, Preghiera in gennaio, senza farsi rubare la scena dalle fantasiose e divertenti evoluzioni di Giorgio Rossi.
La musica più attesa era quella della mitica compositrice americana Annette Peacock da troppo tempo assente dalle ribalte italiane che contano (questa volta si è fatta ascoltare anche a Ferrara, Rimini, Parma e Lugo di Ravenna). Ha il tocco pianistico raffinato di sempre, un vasto repertorio di brani suoi di ieri e di oggi, e non fa più emergere la voce, forse volutamente, con la forza di una volta. Ma proprio per ciò è ancora più interessante e in perfetta armonia con i brani che propone, pensosi del futuro eppure dolci e leggibili. In duo con lei si è esibito il batterista veneto Roberto Dani: un compito arduo, improvvisato all'ultimo istante, svolto con ammirevole perizia e con un'attraente gestualità in sintonia con la musica proposta.
Annette, in un prezioso colloquio, ha detto: «Mi si rimprovera di aver pubblicato pochi dischi a mio nome. Ho avuto due figlie e una madre anziana da accudire. Nel complesso, sono stati due vuoti di 14 anni. Per fortuna, nelle mie composizioni anticipavo gli stili e il mercato. Ma adesso voglio recuperare il tempo perduto».
Possiamo dire che lei tiene concerti anche per questo scopo?
«Sì, certo. Per questo sono qui. Sto scrivendo un libro per un editore italiano, L'Arboreto, e mi sto dedicando al recupero dei miei dischi del passato. Mi piace l'antologia The Aura Years, realizzata per Cmp, dove i miei brani hanno uno spirito differente l'uno dall'altro: credo che proprio questa sia una mia caratteristica».
Parliamo dei due cd più recenti, An Acrobat's Heart per Ecm e 31:31 per la sua etichetta autogestita, la Ironic.
«Tengo molto a tutt'e due. Quello per Ecm, dove lavoro con un quartetto d'archi, avrei voluto che fosse pubblicato nella collana classica. Se lo sarebbe meritato. L'altro è una testimonianza di come sono io e il mio modo di concepire la musica oggi».


Lei ha anche doti di attrice, basta guardare come si muove sul palcoscenico o perfino quando cammina. Si dice che avrebbe avuto la possibilità di recitare come professionista, è vero?
«Sì, non è accaduto perché ho perso un aereo... Ma sarebbe una storia troppo lunga da raccontare in questo momento».

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