Pena di morte, l’Iran risponde all’Onu con 4 impiccagioni

A Teheran il boia non aspetta. Quando ieri mattina quattro uomini vengono tirati fuori dalle celle del carcere di Evin e sospinti verso il cortile il sole è sorto da poco. Qualche ora prima, dall’altra parte del mondo, l’assemblea del Palazzo di vetro ha votato a stragrande maggioranza la moratoria sulla pena di morte. Per i carnefici della prigione-fortezza arroccata sulle montagna della capitale è come se quel voto non ci fosse mai stato. Controllano la lista dei morituri. La sera prima c’erano nove nomi, cinque sono stati depennati all’ultimo momento. Sono rimasti da giustiziare tre assassini e un violentatore. Annodano i cappi, li stringono al collo dei condannati, abbassano la leva, li guardano penzolare nel buio della botola.
Quelle quattro esecuzioni, quei quattro colli spezzati non sono solo l’immagine di una giustizia e di un regime imperturbabili. Quel nuovo poker di morte esibito con perfetto tempismo è la dimostrazione della caparbia determinazione a proseguire sulla propria strada, a ignorare le accuse di chi definisce violazioni dei diritti umani le oltre 290 condanne messe a segno quest’anno nelle piazze e nelle prigioni della Repubblica islamica.
La mattanza di Evin segue una perfetta e calcolata regia. Stavolta nelle mani dei carnefici non ci sono gay, non ci sono minorenni, non ci sono donne. Hossein, un 19enne condannato per aver ammazzato un coetaneo tre anni prima è fra i depennati. I genitori della sua vittima hanno rinunciato al tributo di sangue concedendo quel perdono previsto e accettato dai codici della Repubblica islamica. La grazia dei genitori della vittima salva all’ultimo minuto anche Rahele Zamani una donna per cui si erano mossi Amnesty international e tutte le principali organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Depennati lei, Hussein e altri tre casi “impugnabili”, restano sulla lista solo quattro “barabba”. Tre sono degli assassini, il quarto è un maniaco sessuale per cui nessun iraniano muoverebbe un dito. Si chiama Qassem, ma l’hanno soprannominato la Tarantola per la subdola pervicacia con cui rapiva e violentava ragazzini.
Qassem La Tarantola si travestiva da poliziotto entrava nelle scuole, convinceva i bambini a seguirlo e li costringeva a soggiacere ai suoi voleri. La Tarantola e i tre assassini sono il poker perfetto. Sono i quattro mostri da appendere al palo per esibire quella determinazione pretesa dal presidente Mahmoud Ahmadinejad e da quelle correnti integraliste che definiscono interferenze negli affari interni della Repubblica islamica le richieste di sospensione delle impiccagioni.
In Iran la pena di morte è prevista per l’omicidio, la rapina a mano armata, il traffico di droga, la violenza carnale, l’apostasia, l’adulterio e la “sodomia”.

Per quest’ultimo reato, tuttavia, non esiste discriminante tra violenza e rapporti consensuale, e diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno denunciato le esecuzioni di uomini solo perchè omosessuali. Il 5 novembre era stato impiccato il 21enne Makwan Muludzadeh, un gay condannato con l’accusa, mai provata, di aver violentato due suoi coetanei all’età di soli 13 anni.

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