Si tratta di un libro che ha alcuni anni, è del 2012. Quando Daniel Kahneman, psicologo e premio Nobel per l'Economia, scrisse Pensieri lenti e pensieri veloci (Mondadori), negli Stati Uniti eravamo in pieno regno Obama, Donald Trump si occupava al massimo di immobiliare e televisione, e in Europa i sovranisti ancora non c'erano. Eppure il filo del suo ragionamento lo potremmo usare soprattutto come strumento di interpretazione dei fatti di oggi.
Il nostro cervello si divide in due visioni che portano a due scelte diverse. Il sistema uno, il pensiero veloce, quello che ci permette di fare due per due in automatico, quasi senza pensarci su, è una sorta di pensiero intuitivo, è un processo automatico. Al contrario il sistema due, il pensiero lento, ci obbliga a ragionare, a calcolare, ci fa fermare mentre camminiamo per elaborare una complicata moltiplicazione. Kahneman scrive: «Poiché il sistema 1 agisce automaticamente e non può essere disattivato a piacere, gli errori del pensiero intuitivo sono spesso difficili da prevenire... L'aspetto fondamentale del pensiero 2 è che le sue operazioni richiedono uno sforzo, mentre una delle nostre principali caratteristiche è la pigrizia, la riluttanza ad impegnarsi più dello stretto necessario». Spesso la risposta intuitiva è irresistibile, ma errata. Kahneman cita una lunga serie di esperimenti cognitivi molto interessanti: come quelli dei giudici israeliani che sono più propensi a concedere la libertà condizionata dopo i pasti, perché energeticamente meno stanchi. Sì, vi è anche una componente chimica nella gestione del sistema 2. Oppure il celebre problema della mazza e della palla da baseball: «Una mazza da baseball e una palla costano un dollaro e dieci. La mazza costa un dollaro più della palla. Quanto costa la palla?». La gran parte degli intervistati risponde utilizzando il sistema veloce e dice senza esitazioni dieci. Tocca invece riflettere, sforzarsi, consumare energie e rispondere correttamente e cioè cinque centesimi.
Ciò che vogliamo dire è che siamo molto vulnerabili ad errori cognitivi. E il nostro pensiero veloce tende a inquadrare i problemi decisionali «in un contesto angusto, isolandoli gli uni dagli altri». Così come è difficile spiegare ai nostri interlocutori che la risposta giusta per il problema della mazza e della palla non è dieci, può essere altrettanto difficile spiegare agli elettori come affrontare il problema dell'immigrazione o anche dell'inquinamento.
Non è detto che la risposta intuitiva sia quella sbagliata, sappiamo tutti fare due per due, senza sforzo, ma riguardo le grandi crisi di questo secolo, l'impasto di intuito, tradizione e ragionamento ci dovrebbero spingere a ragionare meglio sulle risposte da dare. In ultima analisi anche al fenomeno stesso della nascita dei populismi e dei sovranismi.
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