Coppie di fatto: vorrei rivolgermi in particolare alle donne e agli uomini di centrodestra che leggono il Giornale. Vorrei chiedere loro se i Paesi che hanno legiferato sui Pacs, o comunque li si voglia chiamare, sono caduti in quella disgregazione della famiglia o, peggio ancora, in quell'abisso di amoralità che viene pretestuosamente agitato. Si consideri che gli Stati «con Pacs» coprono quasi tutta l'Unione Europea, con in prima linea le grandi democrazie: Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Benelux, Scandinavia; mentre, al contrario, i Paesi «senza Pacs» non brillano certo per livello civile: se si eccettua l'Austria si tratta di Albania, Bielorussia, Bulgaria, Russia, Turchia... Non si equivochi: non sto parlando del «matrimonio gay» introdotto solo in Olanda, Spagna e Inghilterra, ma solo delle normali legislazioni che riconoscono le unioni di fatto, omosessuali o eterosessuali, di cui la proposta italiana è solo una pallida versione.
Nel grido di allarme del segretario generale della Cei, monsignor Betori, c'è qualcosa che politicamente non ha alcun senso. È il governo che con i Pacs «scardinerebbe la famiglia», oppure è la presa d'atto di una realtà sociale che anche nel nostro Paese presenta una varietà di unioni tra persone non più contenibile nella forma tradizionale del matrimonio sacramentale? Fa sorridere l'idea che sarebbero il Parlamento e il Governo a creare una realtà che viene molto prima, prescinde totalmente, e sopravvive a qualsiasi legge, permissiva o proibizionista che sia. Ed è francamente irricevibile il veto che la Cei lancia sul parlamento perché non proceda sulla strada della legge. Tutti sanno che le coppie di fatto in Italia sono milioni, che gli omosessuali vivono la loro «diversità» senza scandalo, e che la maggioranza della popolazione, cattolica e non cattolica, giovane e vecchia, di destra e di sinistra, pratica la tolleranza nella vita personale e sociale, e rifugge da qualsiasi proibizionismo.
È di questo che si tratta con i Pacs, e solo di questo: rendere più facile, soprattutto per i meno fortunati (perché i più fortunati se ne infischiano delle leggi) la vita civile, economica e sociale nella legalità. Nessuno vuole imporre determinati modelli di vita a chi non li condivide; ma nessuno può pretendere di imporre i suoi modelli come unici, «normali» e obbliganti a chi non li riconosce. Chi oggi ripropone guerre ideologiche per imporre valori etici e/o religiosi di una parte all'intera nazione fa opera antinazionale perché crea divisioni, discriminazione e conflitti che incrinano la convivenza civile. Se difenderò sempre il diritto della Chiesa all'apostolato sociale, non smetterò di chiederle di rispettare le mediazioni che in una democrazia liberale spettano solo alla politica.
Quando sento gli integralisti cattolici (e ancor più gli strumentalizzatori partitici), a destra come a sinistra, alzare barricate, mi viene da pensare che la Democrazia Cristiana seppe molto bene convivere con la secolarizzazione che ha accompagnato lo sviluppo della nostra società, consentendo l'approvazione di quelle leggi - divorzio e aborto - che hanno allineato l'Italia alla migliore Europa. E quando gli integralisti di allora vollero nel 1974 verificare i loro proibizionismi nel sentimento popolare, incassarono la sconfitta. Mi chiedo perché mai un centrodestra che dovrebbe - e vorrebbe - essere liberale, si impanca in un bigottismo clericale che è contestato perfino nella comunità dei credenti e nelle gerarchie ecclesiastiche.
Cari parlamentari d'ogni orientamento, e specialmente voi della Casa delle libertà, mi pare giunto il momento di abbandonare la logica per cui il riconoscimento delle coppie di fatto sarebbe di sinistra e i non-Pacs di destra, e riporre l'idea balzana che il governo vivrebbe o cadrebbe sui Pacs. Sarebbe bene dividersi su cose più serie. Francamente alla gente non gliene importa nulla dei giochi politici strumentali di chi non sa distinguere le grandi scelte economiche e sociali che qualificano i governi dalle decisioni che riguardano la vita dei cittadini.
È bene ricordare che le identità culturali non si affermano con i carabinieri. Chi ritiene il contrario, dimostra povertà intellettuale e debolezza politica.
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