Ma il percorso delle riforme è pieno di trappole

Le riforme invecchiano insieme a noi. Sono almeno vent’anni che si parla di maggioritario, bipolarismo, presidenzialismo e di tutte le possibili alchimie istituzionali. I referendum di Mariotto Segni, che con Tangentopoli scrivono la parola fine sulla storia della prima Repubblica, sono del 1993. Le Bicamerali, con crostata o senza, assomigliano a certi negozi senza fortuna, dove i cartelli «nuova gestione» si alternano a quelli «liquidazione». Il fallimento è un destino annunciato. Questa volta sarà diverso? Molti indizi dicono di no.
Il guaio è l’ipocrisia. Quando si parla di forma di governo e legge elettorali la maggior parte dei politici dice che le riforme devono essere «neutre» e «condivise». Rassegniamoci. Non è mai così. Le regole che definiscono chi perde e chi vince non sono mai super partes. Giocare alla francese, all’americana o alla tedesca cambia l’orizzonte e i destini dei partiti. Il risultato è che in Italia ogni volta che si discute di riforme partono i veti incrociati. Le riforme si fanno se qualcuno ha la forza e la voglia di farle, come De Gaulle in Francia. Ma qui, da questa parte delle Alpi, le riforme sono un nido di vespe. È quasi impossibile realizzarle con l’opposizione e mettere d’accordo la maggioranza sa già d’impresa. Ognuno sogna la sua riforma, quella che più gli conviene. E, chiaramente, boccia le altre.

Il sogno del Cavaliere
Berlusconi, forse, sogna l’America. Il presidenzialismo americano antico e affascinante è probabilmente molto vicino alla sua cultura. La sfida uno contro uno, secca, spietata, senza appelli lo esalta. È un amore estetico oltre che politico. Il sistema francese è un po’ un compromesso, ma è l’unico modo per convincere i leghisti. L’idea è appunto quella di fare il presidente con un primo ministro «alleato». Cosa non va in questo modello? Due cose: la coabitazione e il doppio turno. Berlusconi non può permettersi un primo ministro di un altro colore politico. È facilmente immaginabile cosa accadrebbe in Italia in un’ipotesi istituzionale di questo genere: entrambi, sentendosi legittimati elettoralmente, farebbero di tutto per ostacolarsi a vicenda. E poi anche in Francia la coabitazione è stata disinnescata. E il doppio turno? È il collante migliore per coalizzare tutte le forze antiberlusconiane. Al primo turno tutti vanno separati per marcare la propria identità e contarsi nel giardino di casa. Sarebbe una competizione per la leadership interna dei «no Cav». Poi al secondo turno tutti compatti contro uno. È da qui che nasce il no del Cavaliere.

Il pragmatismo della Lega
A Bossi interessa il federalismo reale, quello per cui uno paga le tasse alla sua terra. Il resto conta, ma senza barricate. Il presidenzialismo «puro», comunque, non lo vuole. Non bastano i voti di buona parte del Nord per far vincere un leghista. L’unico ruolo che avrebbe è portare i voti per la causa di qualcun altro. Il Carroccio diventerebbe una sorta di lobby degli interessi padani. Poco ambizioso. L’ideale è il semipresidenzialismo, meglio se con il doppio turno, dove può far pesare la propria identità. Ma visto che Berlusconi non lo vuole, su questo Bossi si adegua.
Il Pd super conservatore
Gli eredi di Botteghe Oscure non toccherebbero nulla di questa Costituzione. Il problema non è la Carta, ma chi la occupa. Qualsiasi ipotesi di riforma parte da un presupposto: come minimizzare gli effetti del berlusconismo. Il presidenzialismo è quindi il peggiore dei mali. Non lo vogliono neppure a metà. L’unica cosa che salvano del modello francese è la legge elettorale. Il doppio turno gli ha permesso di vincere negli anni ’90 in molte grandi città. Potrebbero accettare a fatica il modello tedesco o qualsiasi idea di premierato forte. Il parlamentarismo resta il loro faro. Questo perlomeno fino a quando non troveranno un altro leader in grado di sconfiggere Berlusconi. Senza dubbio il premierato, con la possibilità del capo del governo di licenziare i ministri, avrebbe fatto comodo a Prodi. Il sogno «americano» di Veltroni è stato archiviato in fretta. Walter si specchiava in Kennedy, ma non era neppure Dukakis.

Tonino, l’antisilvio
La tentazione americana non risparmia Di Pietro. Ha una personalità più forte dei suoi alleati pd e in uno scontro one to one potrebbe cavarsela. È un successo che dovrebbe guadagnarsi con fatica partendo dalle primarie e questo è un discorso che vale anche per Vendola. In uno scenario americano Grillo potrebbe giocare un ruolo da terzo incomodo. Il sistema francese non conviene invece a Tonino. Difficile immaginare un presidente Pd e un primo ministro Idv. E viceversa.

Fini, Casini

e gli extraparlamentari
Fini vuole il doppio turno per contarsi e spera un giorno di giocarsi una partita presidenziale. Casini guarda al presidenzialismo come qualcosa di alieno, ma il doppio turno è ottimo per giocare al doppio forno. Rifondazione e gli altri sono per il parlamentarismo perfetto e il proporzionale puro.

È l’unico sistema che permette loro di ritornare in Parlamento. Il baluardo resta la Spagna di Zapatero, dove il sistema proporzionale con circoscrizioni molto piccole premia i leader territoriali. Il sogno è tanti piccoli Vendola.

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