Le perizie inguaiano l’ex factotum di Bersani E alla fine il leader Pd si arrende: uguali agli altri

Sull'operazione Serravalle, i pm che sospettano l’esistenza di una tangente trovano conferme nei giudizi degli analisti, a grande maggioranza contrari all’acquisto. La Provincia di Milano pagò quasi il doppio rispetto alle quotazioni. La resa di Bersani: siamo uguali agli altri

Le perizie inguaiano l’ex factotum di Bersani 
E alla fine il leader Pd si arrende: uguali agli altri

Milano Sei perizie. Sei differenti valutazioni sull’affare Serravalle. Perché, fin dall’inizio, l’acquisto da parte della Provincia di Milano delle azioni in mano al costruttore Marcellino Gavio sembrò a molti analisti troppo oneroso per le case pubbliche. E a pensarlo è anche la Procura di Monza, che proprio sul quel passaggio di quote ha aperto un filone d’inchiesta, ipotizzando l’esistenza di una tangente che sarebbe finita all’allora presidente di Palazzo Isimbardi Filippo Penati, e al Pd.

Il quotidiano Milano Finanza ieri e a suo tempo anche il Giornale hanno ricostruito la selva di stime che nel 2005 accompagnarono la colossale operazione. Con un presupposto: l’affare lo fece soprattutto Gavio. Perché il suo gruppo - dalla vendita del 15 per cento delle azioni - incamerò una plusvalenza monstre di 179 milioni di euro, 50 dei quali vennero girati nella tentata scalata di Bnl da parte di Unipol. Era l’estate, per intendersi, dei «furbetti del quartierino». Quella della famosa telefonata tra l’allora segretario dei Ds Piero Fassino al manager della compagnia assicurativa bolognese Giovanni Consorte: «Allora, abbiamo una banca?».

Ora, in questi giorni di sospetti e indagini, è il caso di mettere a confronto le valutazioni fatte dagli esperti, per capire se quella vendita venne fatta a prezzi di mercato o - come ritengono i pm di Monza Walter Mapelli e Franca Macchia - fuori da ogni criterio di economia.
Ci sono solo due valutazioni che si avvicinano al prezzo pagato dalla Provincia (8,831 euro ad azione, contro i 2,9 sborsati da Gavio pochi anni prima). Sono quelle della perizia eseguita dallo studio Vitale & Associati, e quella della Procura di Milano, che aveva aperto un fascicolo dopo l’esposto dell’allora sindaco di Milano Gabriele Albertini, e l’ha lasciato a lungo in un cassetto in attesa di una richiesta di archiviazione che ancora non è stata presentata al gip.

E il prezzo giusto, secondo lo studio Vitale, oscillava tra i 7,9 e i 9,69 euro ad azione. Allo stesso modo, per i consulenti della Procura di Milano, fu «congruo» il prezzo pagato dalla Provincia guidata da Penati. Di diverso tenore, invece, sono le altre perizie che vennero stilate nei giorni precedenti a quell’operazione.
Eccole, dunque, le «altre» analisi.

La prima - di poco antecedente a quella dello studio Vitale - fu redatta da Intesa Sanpaolo. L’istituto di credito valutava ogni azione di Serravalle 5,5 euro, con il suggerimento di non comprare direttamente da Gavio. La seconda venne fatta Lazard Italia, advisor per la quotazione in Borsa di Serravalle (approvata dall’assemblea nel 2005 - come ricostruisce ancora MF - e mai avvenuta). La forchetta fornita da Lazard, invece, oscillava tra i 4,98 e i 7,2 euro ad azione, a cui doveva essere applicato un «sconto ipo» (Initial public offering, offerta pubblica iniziale) di circa il 10 per cento, facendo scendere la valutazione tra i 4,48 e i 6,48 euro.
Inferiore alla stima di Vitale è anche quella di Credit Suisse, che valutava la partecipazione il 42 per cento in meno degli 8,831 pagati, scendendo così a 5,12.

Infine c’è la Corte dei Conti della Lombardia, che - fissando la quota a 6 euro - censurò pesantemente quell’operazione, ipotizzando un danno erariale per le casse della Provincia e dando un giudizio complessivo della compravendita molto negativo. «Palazzo Isimbardi ha speso inutilmente 238 milioni per le azioni». «L’onerosa operazione - continuavano i magistrati contabili - risulterebbe priva di una qualsiasi utilità, considerando che gli enti locali, con particolare riferimento al Comune di Milano e alla Provincia di Milano, già detenevano il controllo della società pubblica, in quanto la loro quota azionaria pari complessivamente al 55,305% (...) assicurava una gestione sociale di Serravalle nell’esclusivo interesse delle comunità amministrate». Ma il sospetto, a questo punto, è che l’interesse da tutelare fosse un altro. Ovvero, quello su cui si stanno concentrando ora i pm di Monza e i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Milano. Un interesse illecito della politica. Una maxi tangente rossa. Che Penati - così come sostiene l’imprenditore Piero Di Caterina - avrebbe avuto il «guadagno su conti esteri a Dubai, Montecarlo e Sudafrica».

Ma oltre il danno, la beffa. Perché oltre a sborsare quasi 240 milioni, alla Provincia è toccata una spesa extra a causa della vicenda Serravalle.

Nel novembre del 2008, infatti, il collegio arbitrale a cui aveva fatto ricorso l’allora sindaco Gabriele Albertini contro l’acquisto di Palazzo Isimbardi delle azioni in mano a Gavio, con conseguente violazione del patto di sindacato, ha dato ragione al Comune di Milano. Condannando la Provincia a pagare una sanzione di 400mila euro. Non fosse già costata abbastanza.

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