Prime scosse di assestamento nella politica americana. Ma guai a pensare che la corsa per le primarie sia già conclusa prima di iniziare. Anche se Mitt Romney, l'ex governatore del Massachusetts, fa sapere di avere un vero e proprio asso nella manica: Chris Christie, governatore del New Jersey, sarà il suo vice presidente nella corsa alla Casa Bianca. Lo ha definito "una persona straordinaria" e "una delle figure trainanti del partito repubblicano". I due hanno partecipato insieme allo show "Today" della Nbc, il giorno dopo che Christie ha offerto il suo appoggio a Romney. Christie, che per alcune settimane ha pensato di correre per la nomination, salvo poi rinunciarvi, ha voluto chiarire che non gli è stato promesso niente in cambio del suo appoggio. Ma per molti il "ticket" per Washington è già pronto. Anche se le primarie potrebbero disegnare nuovi scenari individuando altri potenziali "vice".
Forte della sua esperienza economica come uomo d’affari di successo, Romney ha dominato l'ultimo dibattito fra gli otto aspiranti candidati repubblicani, organizzato martedi sera nel New Hampshire da Washington Post-Bloomberg e WBIN-Tv. Dal confronto sono usciti molto indeboliti due candidati, il governatore del Texas Rick Perry e l’uomo d’affari afroamericano Herman Cain, l'ex "re della pizza". In forte crescita di consensi Cain ha puntato molto sulla sua ricetta del cosiddetto "9-9-9" per risolvere il problema del deficit americano. Ma la proposta, che prevede un’aliquota del 9% per le tasse sul reddito, alle corporation e i beni al consumo, non ha retto alla pioggia di critiche che gli è arrivata addosso dagli altri candidati. A un certo punto del dibattito, quando Cain ha attaccato Romney definendo il suo piano "troppo complesso", l’ex governatore del Massachussets si è difeso, spiegando che "non sempre le soluzioni semplici sono le migliori".Un modo come un altro per sottolineare l'eccessiva faciloneria della ricetta di Cain.
Perry era partito fortissimo, riuscendo a portarsi in testa ai sondaggi subito dopo la sua decisione di scendere in campo, lo scorso mese di agosto. Poi però la sua leadership si è progressivamente offuscata. Ha iniziato a calare nei sondaggi e nell'ultimo dibattito in tv non è riuscito a convincere molto proprio sul tema in cui dice di essere imbattibile, quello economico. Una mezza gaffe l'ha commessa quando ha provato a giustificare il fatto di non aver ancora ben spiegato la sua visione economica: si è scusato dicendo che è sceso in campo da sole otto settimane. Tutto vero. Ma assai poco rassicurante per gli elettori. Romney ha ricevuto molti attacchi da parte degli altri candidati, cosa più che normale nelle primarie. Ma è riuscito a rintuzzare con efficacia ogni affondo, consolidando la sua leadership. L'ex governatore del Massachussets, però, continua a non scaldare i cuori dei repubblicani. Per i Tea parties è troppo moderato. E molti arrivano a dire: se devo scegliere tra uno di sinistra annacquata e uno di sinistra-sinistra, preferisco l'originale (che sarebbe Obama). Certo è che l’appoggio pubblico ricevuto da Christie potrebbe giovare, e non poco, a Romney.
Nel già infuocato dibattito politico si inserisce anche la polemica "religiosa" innescata questa estate da un predicatore battista, che ha sottolineato di non considerare cristiano Romney in quanto quest'ultimo è mormone. Anche la fede, più o meno ostentata, entra dunque a pieno titolo nella campagna elettorale. Non è una novità. Nel 2004 lo stratega di George W. Bush, Karl Rove, riuscì a spostare tutta la campagna elettorale sui valori religiosi e pochissimo spazio fu dato al welfare state. E' difficile, però, che attraversando una crisi economica come quella degli ultimi anni l'America si faccia distrarre ancora una volta da argomenti di certo interessanti ma di sicuro non prioritari.
L'ultimo sondaggio della Reuters-Ipsos, diffuso a tre mesi dall'inizio delle primarie che decideranno chi sarà lo sfidante di Obama, ridisegnano la "classifica" nel partito repubblicano: Romney è a quota 23%, con un incremento di tre punti dal rilevamento di giugno. Cain è al 20%. Dopo il voto informale in Florida è stato capace di triplicare il suo consenso, che solo quattro mesi fa era fermo a uno striminzito 7%. L'ultra liberista Ron Paul è terzo con il 13%, mentre Perry, in forte crisi, è inchiodato al 10%.
Intanto Obama continua a perdere colpi: sempre secondo lo stesso sondaggio, oggi il 50% degli americani disapprova la sua azione contro la disoccupazione, un due per cento in più rispetto al mese scorso. E la percentuale di chi gli è fortemente contrario è salita al 34%, il dato più alto da quando è alla Casa Bianca.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.