Il modello «pay over time» è stato messo a dura prova dalla crisi recessiva degli ultimi anni. Le formule di pagamento ultradilazionate e ultrafacilitate che hanno spinto le famiglie statunitensi a indebitarsi senza essere sicure di poter onorare i propri impegni (vedere alla voce «mutui») sono state giudicate con severità da analisti ed economisti. Noi italiani ci siamo difesi meglio perché da decenni ormai l’indebitamento è guardato con grande diffidenza e l’acquisto di una casa o di qualsiasi altro bene è rinviato se le risorse disponibili non lo consentono.
Per gli italiani funziona così. E per l’Italia? Non proprio. Visto che nello stato di previsione del ministero dell’Economia ci sono oltre 4 miliardi di mutui e altri prestiti da onorare annualmente. Non è poco. È in pratica una manovra correttiva. Certo, rivedere questo capitolo di spesa al ribasso sarà molto difficile. Anche se per più della metà si tratta di prestiti che lo Stato ha fatto con se stesso, cioè con la Cassa depositi e prestiti (Cdp) che, pur essendo stata privatizzata, è ancora a maggioranza pubblica (70 per cento al Tesoro, 30 per cento alle Fondazioni bancarie). Ma è il principio di fondo che va rimesso in discussione anche per il futuro: se si deve spendere, meglio farlo utilizzando prevalentemente ciò che si ha in cassa piuttosto che far ricadere per anni sulle spalle dei contribuenti gravami dei quali nessuno vorrebbe ricordarsi.
Come l’Efim, ad esempio. Un buco di 6 miliardi di euro tappato faticosamente dal 1992 in poi con la sua faticosa liquidazione che procede ancor oggi attraverso Fintecna che gestisce gli ultimi contenziosi. La terza holding di Stato dopo Iri ed Eni impiegava nei fulgidi anni ’70 circa 50mila dipendenti e le sue aziende spaziavano dall’avionica, alla costruzione di autobus, dalla metalmeccanica fino al vetro, dall’alluminio e ai surgelati. Oggi non esiste più ma si continua a pagare 183 milioni di mutui, residuati di un passato che fu.
E altri 40 milioni ci costa il Banco di Napoli, la banca del regno delle Due Sicilie che fu statalizzata con l’unificazione, utilizzata come veicolo di finanziamento della politica e degli amici della politica meridionale per tutta la Prima Repubblica. Quasi fallita fu salvata con un’abile idea: scorporare gli attivi di pessima qualità e tenere il resto. Se la aggiudicò per la cifra irrisoria di 60 miliardi di vecchie lire la cordata Bnl/Ina che poi lo cedette al San Paolo di Torino (oggi Intesa San Paolo). Ma lo Stato continua a pagare le scelte sbagliate del passato, proprio con quei 41 milioni, finalizzati alla privatizzazione di un istituto semi-decotto dopo la belle epoque di Ferdinando Ventriglia.
Un’altra eredità del passato è rappresentata dai mutui contratti per finanziare le infrastrutture del Giubileo 2000: una serie di realizzazione per le quali tutti i contribuenti pagheranno quest’anno 142 milioni di euro. E bisogna pensare che non si tratta solo di miglioramenti per Roma e il Vaticano, ma anche di opere realizzate nel resto d’Italia per facilitare l’afflusso verso gli altri luoghi di culto. E che continuano a pesare sul bilancio pubblico.
Osservati nel loro complesso questi mutui contratti con Cdp rappresentano «bruscolini» se paragonati ai 500 milioni che si spendono per i vari finanziamenti concessi per il ripiano del deficit sanitario delle Regioni ai quali lo Stato contribuisce. È difficile, perciò, non pensare che dietro ogni mutuo si nasconda uno spreco più o meno mascherato. Da un lato, gli «stipendifici» delle holding di Stato, dall’altro le spese folli dell’intervento nel Mezzogiorno e dall’altro ancora le inefficienze del settore sanitario.
È solo la punta di un iceberg: giacché risultano 38 milioni impegnati per i disavanzi del Servizio sanitario nazionale nel 1989 e nel 1991 (con annesso sbilancio della Croce Rossa nel 1991), mentre altri 5 milioni sono destinati al finanziamento della spesa sanitaria nel 1987 e nel 1988. Niente da aggiungere: è solo la fotografia di un’Italia che per tanti, troppi anni ha vissuto al di sopra dei propri mezzi.
Tutte incrostazioni di un passato contrassegnato da una gestione finanziaria discutibile: 521,5 milioni di mutui per le aree depresse, 42 milioni per ripianare il deficit del settore trasporti e 15 milioni per i mutui del trasporto pubblico locale e 535 milioni per i finanziamenti accesi per l’Alta Velocità da Infrastrutture spa. Altri 15, 5 milioni sono stati destinati alle comunità montane per sostenere il Fondo nazionale per la montagna.
Oltre quattro miliardi vanno via così.
Come i prestiti da 3,5 milioni per la stabilizzazione dell’Unire, l’ente che si occupa di razze equine. Dai cavalli fino ai supertreni agli aerei. Ecco, l’Italia continua a essere un po’ tutto questo: un Paese dove lo Stato fa un po’ di tutto, tranne che i panettoni. Solo perché costretto a privatizzarli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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