Il convento di San Marco e la Firenze di La Pira

La Pira, il convento di San Marco, la cella numero sei, l'archivio con oltre cinquantamila lettere con papi e capi di governo, l'amore per il prossimo e Firenze "capitale" del dialogo e della pace

Il convento di San Marco e la Firenze di La Pira

Giorgio La Pira, padre costituente ed illustre esponente del cristianesimo sociale, è soprannominato il “sindaco santo”, anche se lui amava ricordare la sua origine di ragioniere (a cui poi aveva integrato anche studi classici a Palermo). E un po’ del mestiere lo aveva imparato dallo zio a Messina, Luigi Occhipinti, massone e anticlericale che all’età di dieci anni, accogliendolo come un figlio per permettergli di proseguire gli studi, gli disse: "In questa casa non si fuma e non si parla con i preti ". Con gli studi in legge ebbe modo di incontrare Firenze. È il 1926 e il professor Emilio Betti, con cui stava preparando la tesi in storia del Diritto Romano venne chiamato a ricoprire la cattedra all’Università fiorentina. Quella che poteva all’apparenza sembrare una parentesi temporanea, tanto che era indeciso se andare a Firenze o Milano, divenne alla fine una scelta che condizionerà per sempre la sua vita. La città di Dante, dei Medici, di Machiavelli divenne anche la sua città. E ad essa rimase legato per tutto il resto della sua esistenza, ritagliandosi un ruolo di primo piano nella storia della culla del Rinascimento. Ed oggi, a quarantacinque anni dalla scomparsa, ogni 5 novembre in ricorrenza della morte, centinaia di persone e tanti giovani (che hanno conosciuto La Pira solo sui testi storici) partecipano alla messa in suo ricordo nella Basilica di San Marco all’interno del grande convento dove visse, nella più assoluta semplicità e raccolto nella preghiera con lo sguardo e la mente rivolto sempre al prossimo.

Il convento di San Marco, risalente a prima del 1300, apprezzato dalla famiglia Medici, tanto che Cosimo vi investì notevoli somme di denaro per la sua ricostruzione, ebbe tra i suoi nomi illustri anche Fra’ Girolamo Savonarola. Prima di trovarvi sistemazione La Pira fu ospite dei padri missionari del Sacro Cuore in Via Santa Caterina d'Alessandria dove c’era un pensionato studentesco. Agli inizi del ’36 dovette affrontare un fortissimo esaurimento nervoso e si ritirò per tre mesi sull’Etna, ospite dei salesiani a Pedara. Quando tornò a Firenze fu accolto in San Marco dai domenicani, nell’attuale complesso, in una cella con il numero sei che diventò in qualche modo la sua unica casa. La cella era senza riscaldamento, acqua, con un semplice letto e tavolino in legno. In inverno era molto fredda e lui soffriva di bronchite, infatti nel ’45 lo ricoverarono per un periodo in una clinica, l’Istituto Radioterapico di Via Venezia, diretta da un suo amico siciliano, Vincenzo Palumbo. Pur mantenendo la cella di San Marco come punto di riferimento, quando chiuse l’istituto dove era assistito anche dalle suore, fu ospite del suo amico e collaboratore Pino Arpioni in un piccolo studentato dove rimase fino ai suoi ultimi giorni. “Il Professore”, come lo chiamavano gli amici, si alzava verso le cinque del mattino, pregava, andava a messa alla Santissima Annunziata e comprava i giornali, di cui era un attento e instancabile lettore.

Il convento di San Marco rimase la base della sua attività politica nonché il luogo particolarmente amato per i tanti momenti trascorsi fatti di letture, meditazione, colloqui e sostegno ai più bisognosi. La Pira non solo donava i propri compensi ai più poveri, rimanendo sempre con poche lire in tasca, ma si assicurava anche che potessero ricevere cibo, acqua e assistenza medica. Dove oggi c’è la fondazione - in una piccola parte del convento - prima c’era la sua segreteria, gestita da Antinesca Rabissi Tilli che lui aveva conosciuto all’ECA, Ente Comunale Assistenza, di cui fu presidente dalla Liberazione agli anni Sessanta. All’interno ci sono libri, foto, come quella in cui è ritratto a braccia aperte e sorridente o in compagnia di don Giulio Facibeni (suo grande amico), statue, quadri, ma soprattutto un archivio con oltre cinquantamila documenti contenenti corrispondenze con papi, capi di governo e sindaci di tutto il mondo, ma anche suore di clausura, carcerati (l'archivio, digitalizzato, è consultabile all'indirizzo https://archiviolapira.it).

A Giovanni XXIII scriveva: “[…] Nonostante tutto, sento nel fondo dell’anima una cosa che mi consola: di aver voluto sempre e soltanto servire il Signore attraverso la Sua Chiesa […]”. A Paolo VI, suo amico personale, fin dalla giovinezza: “Unificare il mondo: ecco il problema – unico – di oggi: unificarlo facendo ovunque ponti ed abbattendo ovunque muri: ebbene, questa unificazione non è possibile – quasi non ha senso – se non passa (in certo modo) da Pietro: se, cioè, questa unificazione giuridica e politica fra gli Stati non è accompagnata dal rapporto unificante – giuridico e politico (in senso profondo) – fra gli Stati e la Chiesa! […]”. Ancora inediti sono i piccoli quaderni in cui quotidianamente annotava frammenti di pensieri e riflessioni sui diversi temi.

La Pira fece di Firenze anche dopo la fine dei suoi mandati da sindaco, una capitale mondiale della pace e diplomazia. Nel 1967 fu nominato per la prima volta presidente della Federazione mondiale delle città gemellate. Un organismo nato in Francia, molto vicino all’Africa francofona. Sul fronte internazionale si muoveva con grande abilità, instaurando preziose amicizie e rapporti utili all’intero esecutivo italiano. A Moro scriveva di includere e tessere canali diplomatici con la Cina e infatti l’ambasciatore cinese tra le prime cose che fece, appena giunto in Italia, andò a Firenze a incontrarlo. Con Fanfani ministro degli Esteri e presidente dell’Assemblea Onu, La Pira fece arrivare al governo americano la disponibilità di Ho Chi Mihn di arrivare ad una trattativa di pace. Suo amico fu Léopold Sédar Senghor, presidente del Senegal dal 1960 al 1980; Maometto V, il cui secondo figlio Moulay Abdellah accompagnò a La Verna, il 17 settembre 1957, giorno delle stimmate di San Francesco. E quando il fratello maggiore di Moulay succedette al padre, La Pira partecipò alla cerimonia come ospite d’onore. Il Marocco dunque, ma anche Algeria, Egitto, Giordania, Cile e Israele. Nel ‘55 organizzò il convegno dei sindaci delle capitali del mondo a Firenze, al quale partecipò anche il “sindaco” di Mosca Jasnov che ricambiò invitandolo a Mosca. La Pira era intento a partire quando dal governo gli venne fatto presente che non era “opportuno” (ci andrà nel ’59). Il 4 ottobre (del ’55) nella Basilica di Santa Croce accompagnò tutti i sindaci partecipanti alla messa celebrata dal cardinale Elia Dalla Costa, e il sindaco di Mosca Jasnov e l’ambasciatore sovietico in Italia, Bogomolov, gli baciano la mano. Un momento straordinario vista l’epoca di scontro tra il blocco occidentale e il mondo comunista.

Il convento di San Marco, nella parte che si affaccia su Via Giorgio La Pira, di fronte al Giardino dei Semplici, presenta una targa con scritto: “Da questo angolo di Firenze, entro l’antico convento di San Marco, eco delle preghiere e delle speranze del mondo, Giorgio La Pira, docente, sindaco, parlamentare, svolse fino alle ultime forze la sua missione cristiana per la concordia e il bene dei fiorentini per la pace e l’unità delle nazioni”.

Giorgio La Pira scomparve il 5 novembre 1977. Il giorno dopo, la salma venne esposta a San Marco e i funerali celebrati in Duomo dal cardinale Benelli, che disse: “Nulla può essere capito di Giorgio La Pira se non è collocato sul piano della fede”.

Sepolto nel cimitero di Rifredi, nel 2007,

nel trentesimo anniversario della morte e in seguito alla conclusione del processo diocesano di beatificazione la salma fu traslata nella Basilica di San Marco.

Quella che lui aveva sempre considerato la sua “unica” casa.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica