Igor Principe
L'anagrafe dice 81 anni, l'aspetto non più di 70. Ma lo sguardo, il pensiero e lo spirito di Peter Brook sono quelli di un uomo senza età, capace di animare una conferenza stampa - che lui preferisce chiamare "chiacchierata" - chiedendo ai giornalisti di spostare le sedie in avanti per avvicinarsi al palco da cui lui sta parlando. Le sedie sono legate una all'altra, disposte su file: ciò determina un paio di minuti di gioioso caos che lo diverte molto.
L'argomento su cui Peter Brook chiacchiera con la stampa è lo spettacolo che da stasera sarà in scena al Teatro Studio, nell'ambito del Festival dei Teatri d'Europa: Sizwe Banzi est mort. L'autore è Athol Fugard (da un romanzo del quale è stato tratto Il suo nome è Totsi, oscar 2006 come miglior film straniero), gli interpreti Habib "Guimba" Dembélé, dal Mali, e il congolese Pitcho Womba Konga, tra i più apprezzati in Africa. Volti ideali per raccontare una storia intrisa di apartheid. Ma soprattutto, per esprimerla con tutta la necessaria profondità.
«Dal mio primo contatto con l'Africa, circa quarantanni fa, a oggi ho verificato che l'attore africano comunica davvero con ogni parte del suo corpo - spiega Brook -. E in Sudafrica ne ho avuto conferma. In molti casi gli attori dovevano recitare senza teatro, senza pubblico e in piena illegalità, ma non vi rinunciavano perché avevano bisogno di comunicare cose che non potevano rimanere nascoste. In quella situazione erano capaci di esprimere in modo estremamente naturale, senza conoscerle, tutte le grandi teorie sull'interpretazione presenti nei libri o insegnate nelle scuole e nei seminari. Ecco perché il teatro africano è uno dei più vitali al mondo».
Il testo appartiene al genere delle "township plays", in cui si racconta la vita quotidiana della comunità nera sudafricana nel periodo che va dal 1958 al 1973. Segregazione, violenza e negazione dei diritti fondamentali erano le parole d'ordine del tempo.
In questa storia rientra però anche un elemento che sarebbe piaciuto a Pirandello: la perdita di identità. Uno dei protagonisti, Robert, ha assunto il nome di un altro uomo, il Banzi del titolo, per trovare lavoro. La sua storia personale e la sua vita ne saranno segnate per sempre.
«Mettere in scena l'apartheid non significa raccontare un luogo preciso - prosegue Brook -, ma il mondo intero. La mancanza di identità come uno dei diritti primari dell'uomo è una delle questioni più importanti, oggi. L'apartheid, che la determina nel protagonista, assume una dimensione globale».
Proprio in questi giorni si celebra il ventesimo anniversario del secondo spettacolo di Brook al Piccolo, La tragedie de Carmen, andata in scena il 12 novembre 1986.
Il direttore del teatro, Sergio Escobar, ne trae spunto per un'idea: «Parlerò con Brook della possibilità di celebrare l'anniversario, e i nostri sessantanni di attività, con un nostro spettacolo in uno dei suoi teatri in Francia. Quale? Magari l'Arlecchino».
Siwze Banzi est mort, regia di Peter Brook, Teatro Studio, da stasera al 25 novembre, repliche pomeridiane anche il 16 e il 23 novembre (ore 17.
Peter Brook (con l'intervento di Fausto Malcovati) incontra il pubblico domani alle 17 presso il Teatro Studio. Ingresso libero fino a esaurimento posti
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.