«Il petrolio degli italiani si chiama arte e cultura»

Il trasformista e mimo al Nazionale da oggi Sarà affiancato da un gruppo di attori e mette in scena «sorprese» e travestimenti

«Il petrolio degli italiani si chiama arte e cultura»

Al Museo delle Cere Grevin di Parigi ci sono solo cinque statue di personaggi italiani: insieme a quelle di Leonardo da Vinci, Luciano Pavarotti, Monica Bellucci e Roberto Benigni, c'è la sua. E la sua – nemmeno da dire – è in movimento. Cambia d'abito ogni trenta secondi, per lo stupore generale.

Arturo Brachetti, fuoriclasse del trasformismo internazionale, è simbolo ipercinetico, fantasioso, colorato e gioioso dell'Italia. Un'icona – con quel ciuffo che sembra farsi antenna per captare tutti gli stimoli che si parano sul suo cammino di viandante mondiale – che, per dirla chiaramente, ci fa fare bella figura all'estero in una stagione in cui l'autostima degli italiani è decisamente zoppicante.

Il suo show intitolato Brachetti che sorpresa! in arrivo da questa sera (fino al 29 marzo, ore 20.45, sabato ore 15.30 e 20.45, domenica 15.30 e 19, ingresso 63-20 euro, info 02.00.64.08.88) al Teatro Nazionale è un concentrato di energia e ottimismo, oltre che – come spiega lui - «uno psicodramma di un'ora e mezzo, dove mi faccio un po' di autoanalisi: racconto l'ineluttabilità del crescere, i piaceri e i doveri della maturità, che prima o poi deve venire, per quanto il tuo personale Peter Pan ti dica che restare giovani è meglio».

Il messaggio per l'intero Stivale italico, in una lunga stagione che - tra l'Expo milanese e l'appena annunciato Giubileo capitolino - attirerà gli occhi del mondo sul nostro paese è semplice quanto rigenerante: «Nonostante la nostra cecità cronica – spiega il geniale trasformista –. Noi italiani non possiamo non capire come siamo seduti sul petrolio. Il nostro petrolio si chiama cultura, si chiama arte. Ancora oggi avvicinare le parole “artista” e “italiano” all'estero è come compiere un'equazione perfetta e scontata. L'immagine, il senso dell'Italia, risiedono qui. I francesi hanno quattro ombrelli e allestiscono il Museo dell'ombrello: noi abbiamo cantine di musei con capolavori accatastati e li lasciamo lì».

Detto da chi è stato nominato Cavaliere delle arti e delle lettere da parte del ministro della Cultura francese, è premio Molière come migliore attore teatrale, nonché vincitore del Laurence Olivier Award in Inghilterra, insomma, fa il suo effetto.

Lo spettacolo pronto a esplodere sul palcoscenico del Nazionale, tra effetti speciali innovativi come il laser e il video-mapping (proiezioni video capaci di dare forma e corpo sempre cangianti a oggetti presenti in scena) vede Arturo Brachetti, è bene precisarlo, non nel suo tradizionale «one man show».

Insieme al trasformista ci saranno Luca Bono, ventiduenne enfant prodige dell'illusionismo allievo dello stesso Brachetti, la coppia surrealista Luca&Tino (definiti dal francese Le Figaro « i “Laurel & Hardy italiani”»), l'illusionista comico Francesco Scimemi e Kevin Michael Moore, fantomatico alter ego di Brachetti.

«Lo spettacolo è un racconto ed è un varietà – spiega il magico Arturo –. E, per essere tale, necessita di diversi protagonisti. Ognuno di loro rappresenta una fase della mia età, dall'infanzia alla maturità. Tutto parte da una montagna di valige, da cui spuntano i me stesso del passato. Io devo domarli e riportali nelle valige. Perché il mio viaggio continua, nella vita. A cinquant'anni raggiunti, devo misurarmi con l'anagrafe. Certo, questa età non me la sento: non frequento coetanei e non amo parlare di problemi alla prostata – scherza Brachetti – ma giunge un momento in cui ti devi pensare maturo».

C'è modo e modo

di farlo: il racconto di Brachetti passa per vere e proprie magìe, come quando volerà letteralmente in scena, o compierà decine di trasformazioni: «Ventuno solo nel numero in cui interpreto i principali eroi del Far West».

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