Più che Italia del pallone pare un’Italia nel pallone...

di Riccardo Signori

Qualcosa non va: noi gli spediamo il meglio del nostro calcio, gente che vince e sa vincere. E loro ci affittano una vecchia gloria. Dove l’errore? Noi siamo l’Italia del pallone, che invia agli inglesi gli unici tre tecnici (insieme a Lippi) che, nell’ultima decade, hanno vinto lo scudetto: Capello, Ancelotti, Mancini. Loro sono quelli del calcio inglese, nazionale compresa, che non ci affidano Rooney, Lampard, Gerrard o John Terry, ma ci rifilano David Bechkam, che è bello, simpatico, bravo, volonteroso, però un po’ passatello e, in una squadra, non fa mai la differenza.
Ora sorrideranno quelli che pensano (e ce ne sono pure tra i milanisti): non è servito l’anno passato, non servirà quest’anno, è solo fumo negli occhi ed è qui per fare un piacere a Capello. Tesi forse assoluta, ma nemmeno lontana dalla realtà. Beckham l’anno passato è servito, quest’anno servirà, ma volete mettere il rapporto costo/prodotto? Meglio risparmiare e puntare ad altro.
Ma il problema non è questo. È ben più consistente. Noi inviamo ai simpaticoni d’Oltre Manica tecnici che possono migliorare quel calcio e i suoi campioni, insegnare qualcosa (certo molto più di quanto insegnato da Mourinho in Italia). E, in cambio, il nostro pallone non riuscirà a strappare nessuno di quelli che contano a Manchester o Chelsea, Arsenal o Liverpool. Gente che fa la differenza. Si dirà: l’Italia ha pochi danari, non può gareggiare in quanto ad ingaggi ed acquisti.

I club inglesi sono più ricchi, nonostante certi rossi di bilancio, pagano cash, hanno un’immagine diversa: loro e il loro campionato.
Tutto vero, ma siamo sicuri di non continuare a farci del male. I nostri tecnici vanno là e ci mettono una mano di qualità. Beckham vien qui e ci risparmia solo la moglie. Poi si vedrà.

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