«Più che l’islam ha vinto il desiderio di stabilità»

nostro inviato ad Ankara

«In Turchia più che l'Islam ha vinto il desiderio di stabilità». Parola di Carlo Marsili, ambasciatore italiano ad Ankara che interpreta con ottimismo i risultati delle elezioni di domenica scorsa. E la sua è un'opinione che pesa, non solo a Roma, ma anche qui, dove viene considerato un raffinato e brillante intenditore della storia e dell'anima di questo Paese.
Ambasciatore Marsili, perché un elettore su due ha votato per Erdogan?
«Per non cambiare strada, soprattutto in campo economico, e per lanciare un messaggio costruttivo all'Europa. Erdogan era il candidato che garantiva la continuità della politica economica, che aveva della fiducia sia degli investitori stranieri sia dell'imprenditoria locale a tutti i livelli, dal piccolo al grande industriale. Per questo è stato confermato al potere».
Ma queste elezioni avevano anche una forte valenza religiosa, di contrapposizione tra l'Islam e la laicità...
«Se analizziamo con serenità i risultati ci accorgiamo che anche in questa prospettiva il risultato delle elezioni è rassicurante. Erdogan ha ottenuto quasi il 50% dei voti, ma ha perso seggi rispetto a cinque anni fa. Nel 2002 solo due partiti avevano superato lo sbarramento del 10 per cento, oggi tre (ce l'hanno fatta anche i nazionalisti) e in più sono stati eletti 28 indipendenti. Dunque il partito del premier non ha la maggioranza dei due terzi necessaria per eleggere il presidente e cambiare la Costituzione. Insomma non ha ricevuto una cambiale in bianco è questo è positivo. È una garanzia sulla laicità della Repubblica».
Ma ora bisogna risolvere la questione del nuovo capo dello Stato. Sono in vista nuovi scontri con l'esercito?
«Non credo. Erdogan è un leader intelligente e scaltro. Secondo me capirà che non ha interesse a contrapporsi alle Forze Armate e dunque accetterà un candidato di garanzia, con il consenso di tutti. Se opterà per questa soluzione, com'è probabile, tutto rientrerà e potrà governare senza problemi per altri cinque anni. È quel che chiedono i generali e oggi il premier non ha alcun interesse ad arrivare alla rottura».
Alcuni analisti sostengono che Erdogan è stato votato anche da molti laici. Condivide?
«Sì, e la presenza in lista di molti candidati moderati al posto di esponenti più oltranzisti ha rassicurato gli elettori non religiosi. Durante il boom degli ultimi cinque anni è nato un nuovo ceto formato da piccoli e medi imprenditori, anche in Anatolia, a cui i discorsi sull'Islam interessano poco. L'Akp è visto come un partito più liberale che islamico. E ha permesso la nascita di una nuova borghesia. L'incognita è sulla possibile integrazione di due mondi che finora si sono ignorati».
Gli islamici però escono rafforzati da queste elezioni...
«Sì, ma è un Islam turco, molto diverso da quello arabo. È più conservatore che politico. Infatti i movimenti radicali o i fondamentalisti non hanno raccolto consensi. Lo stesso Erdogan continua a dare rassicurazioni sulla laicità. E bisogna tenere conto che il sistema politico trova solide garanzie nella Costituzione, in un presidente della Repubblica di consenso, nell'esercito, nella Corte costituzionale. Fino ad oggi l'Islam turco è stato compatibile con la democrazia».


Cambierà qualcosa nella linea verso l'Unione Europea?
«No, la Ue resta il cardine della politica estera di Erdogan. Semmai sono alcuni Paesi europei che frenano. L'Italia comunque resta favorevole al processo di adesione; in questo c'è continuità tra Prodi e Berlusconi, nonché ampio consenso tra i due poli».

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