Con il piano di Cincotti un viaggio live per le strade d’America

Il sogno dell'assessore Giovanni Terzi - garantire una stagione di musica dal vivo da capitale europea anche durante la serrata agostana milanese - è ben lungi dall'essersi realizzato, ma almeno è in «corso d’opera». Milano Jazzin' Festival ha provato così a venire incontro alle «velleità» internazionali di Palazzo Marino, spingendosi oltre l'originario traguardo del 2 agosto. Così stasera, per la chiusura posticipata della kermesse, che può comunque vantare un cartellone eclettico e accattivante (dall'ex Dire Straits Mark Knopfler fino all'affascinante popstar cinese Sa Dingding, passando per Elisa e Mike Patton) e show affollati, è stato infatti invitato sul palco dell'Arena il newyorkese Peter Cincotti. Immaginate una famiglia italo-americana (i nonni paterni sono originari di Napoli e Piacenza) riunita intorno a un tavolo, dietro a una delle finestre di quella Manhattan in bianco e nero, che - per citare Woody Allen - pulsa ancora dei grandi motivi di George Gershwin. Ora nel quadro mettete un pianoforte giocattolo e un bimbo di tre anni, proprio il nostro Peter, che comincia a muovere le mani sulla piccola tastiera. Si sa, gli esordi di un grande talento tendono sempre a essere un po' mitizzati, ma per il 27enne newyorkese si tratta di vita vera. Il giovane pianista («quando suono, il pianoforte diventa un mio prolungamento, mi aiuta ad esprimere ciò che ho dentro», ha dichiarato), cantante e compositore ha iniziato ad amare la musica in tenera età e da allora non ha mai smesso. Forte degli studi classici alla Manhattan School of Music e di un corso privato di piano jazz con Ellis Marsalis, a 15 anni già si esibiva al Knickerbocker Jazz Club, a 19 Phill Ramone (in passato al lavoro sui dischi di Frank Sinatra e Ray Charles) gli proponeva un contratto con la Concorde Records e a 20 stringeva tra le mani il suo primo album. Oggi l'ex enfant prodige ne ha tre all'attivo, l'ultimo (che poi è anche il primo di composizioni originali) è East of Angel Town, è ormai un successo è mondiale, coronato e celebrato da premi. In realtà, proprio con il lavoro più recente, prodotto nel 2009 da David Foster (il produttore delle star, dalla Streisand a Céline Dion) e Humberto Gatica (che ha lavorato con Elton John, Michael Bublé e Michael Jackson), con il quale è riuscito a conquistarsi le simpatie delle radio grazie alla hit Goodbye Philadelphia, accorato ritratto dell'America post 11 settembre, Cincotti sembra aver in parte abbandonato il campo jazzistico in cui aveva mosso i suoi primi passi in favore di un pop-rock energico e melodico alla maniera del piano-man Billy Joel (curiosamente si è esibito di recente con la figlia di quest'ultimo, Alexa…). E dire che con il disco (omonimo) d'esordio del 2003 e il successivo On the Moon dell'anno dopo, il talentuoso musicista di New York aveva scalato le classifiche jazz americane, illudendo il pubblico su un suo luminoso futuro da crooner (cantante confidenziale), forte di una voce (votata di preferenza al registro medio-alto e al falsetto) e di un fascino che ricordava a tutti quello del giovane Frank Sinatra. «Sono nato e cresciuto a Manhattan, ho frequentato i concerti rock al Madison Square Garden, i jazz club del Greenwich Village e i musical di Broadway: la mia formazione è eclettica - ha puntualizzato Cincotti, definito il musicista più sexy ed elegante del pianeta dal settimanale Usa People -. Lo so, i miei primi due cd sono stati fondamentalmente dischi di jazz, reinterpretazioni di grandi classici altrui (in primis Sinatra, Billie Holiday, Nat King Cole, ndr), ma a un certo punto ho sentito che era venuto il momento di specializzarmi soprattutto nell'arte di fare musica.

Pop, rock, blues, funk, swing e jazz ha ben poca importanza». Preparatevi, perciò, a un «viaggio live» (al fianco del bel Peter un agguerrito quintetto) tra vecchio e nuovo, standard e brani originali, originalità melodica e suggestioni vintage.

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