Di Pietro «arresta» Mastella Amnistia? Pensi alla giustizia

L’ex pm non ci sta: «Bisognerebbe iniziare dalla testa e non dalla coda»

Anna Maria Greco

da Roma

La polemica nell’Unione era nell’aria, ma l’annuncio di Mastella sull’amnistia nel carcere di Regina Coeli la fa esplodere. Il ministro della Giustizia precisa che la sua è un’iniziativa di tutto il governo Prodi e il premier deve correre a confermarlo, ma un ministro di quello stesso esecutivo accentua i toni accesi del suo no al provvedimento generalizzato di clemenza. È Antonio Di Pietro, «padre» di Mani pulite, leader dell’Italia dei valori e ora titolare delle Infrastrutture.
L’ex-magistrato ha sempre detto che non è così che si risolve il problema del sovraffollamento delle carceri e non è così che si affrontano i mali della giustizia. E ora rincara la dose: «Ho preso atto che il collega di governo Mastella, come primo atto, ha pensato a un provvedimento di grazia, come secondo all’amnistia, forse domani penserà all’indulto e poi alla prescrizione. Lo inviterei a cominciare dalla testa, anziché dalla coda». Cioè, a far funzionare la macchina della giustizia. Per Di Pietro l’amnistia «ha un senso se è l’atto finale di un processo in cui si è eliminata la ragione per cui vi si ricorre», facendo sì che ci siano meno reati e meno detenuti. Altrimenti, avvisa, tra 2 mesi «siamo punto e a capo».
Dichiarazioni che spaccano l’Unione e provocano reazioni dure. Il capogruppo dell’Udeur alla Camera, Mauro Fabris, ritiene incomprensibile l’opposizione di Di Pietro, ministro del governo Prodi, all’iniziativa «preannunciata, a nome dello stesso governo, dal Guardasigilli quando tale proposta è prevista dal programma dell’Unione firmato dallo stesso Di Pietro».
Eppure, Di Pietro non è il solo da quella parte a pensarla così. Il suo attacco fa il paio con quello di un altro protagonista di Tangentopoli passato alla politica: Gerardo D’Ambrosio. Anche per l’ex toga milanese ora senatore Ds, è «troppo presto» per parlare di amnistia. È un errore, un palliativo. Finora «è servito solo a differire i problemi della giustizia», mentre il sovraffollamento delle carceri va affrontato in un quadro più ampio. Tante cose si potrebbero fare: dalla riforma del diritto penale all’informatizzazione e riorganizzazione degli uffici; dall’eliminazione del carcere preventivo per i tossicodipendenti che accettano il programma di recupero alla revisione degli illeciti penali e amministrativi che ricadono sul penale alla trasformazione di molte pene detentive in lavoro sociale o in pene pecuniarie, togliendo la sospensione condizionale per farle diventare «un deterrente superiore allo spauracchio del carcere». Ma se proprio s’insiste sull’amnistia, per D’Ambrosio dovrebbe essere breve e ristretta ai reati che si vogliono depenalizzare.
E poi, ci si chiede nel mondo politico: amnistia o indulto, o tutt’e due? Una cosa è parlare, un’altra è trovare in Parlamento la necessaria maggioranza dei due terzi per varare il provvedimento.
Su questo aspetto insiste Franco Monaco della Margherita. Prodi ha detto che l’amnistia la vuole il governo dell’Unione, ma lui che è prodiano di ferro avverte: «È doveroso non indulgere all’ennesimo tormentone di annunci e promesse prima di avere accertato che vi siano le condizioni politiche e la larga maggioranza parlamentare, onde non aggiungere sofferenza a sofferenza ai detenuti, alimentando in loro nuove illusioni». Non è pregiudizialmente contrario all’amnistia, Monaco, ma ritiene che per il sovraffollamento delle carceri è più appropriato ricorrere all’indulto. E sempre escludendo i reati più gravi.


Anche Marina Sereni dell'Ulivo sottolinea che la base di un discorso serio in materia è il dialogo con l’opposizione. «L’impegno di tutti - dice - deve essere quello di non alimentare inutili speranze nelle carceri, ma anche di saper individuare, nel rispetto delle vittime, i campi d’intervento dell’amnistia».

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